Bisogna domandarci che tipo di società è quella italiana; quali sono le sue caratteristiche peculiari; che risultati ha prodotto l’esperienza femminista degli anni ’70/’80 nelle donne italiane; quali sono le cause che ha portato un Paese dal boom economico degli anni ’60 allo sfacelo attuale; perché è così grave e profonda la crisi che ha investito sempre più il livello culturale del sistema scolastico italiano, della sanità pubblica, dei rapporti sociali, dei  contenuti dei programmi pseudo-politici dei governi che si sono succeduti nell’arco dei settant’anni e i motivi che sempre più spesso li spingono a modificare i contenuti della Costituzione invece di attuarla pienamente; le cause che sempre più spesso hanno portato i militari ad amministrare la cosa pubblica fino ad affidare con il voto ad una destra nostalgicamente feudale la conduzione di un Paese ormai alla deriva.

Prima di tutto non vi è stata una reale transizione da una società feudale ad una moderna democrazia per la concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi (nobili-latifondisti prima e nobili-arricchiti industriali poi) e il dominante analfabetismo che ha impedito per secoli la formazione di una coscienza civile diffusa e la conseguente partecipazione alla vita politica, economica e culturale del Paese.

Un elemento che viene sottaciuto e volutamente sottovalutato è la pesante e continuativa influenza che il cattolicesimo ha sempre esercitato nella vita politica, economica, morale e sociale di questo sfortunato Paese. 

I poveri e gli ignoranti non sono le anime predilette di Dio ma le vittime degli egoismi dei mercenari divenuti potenti e consacrati nobili e imperatori dai papi ai quali dovevano obbedienza (vedi Canossa): chi aveva l’onore di portare a spalla pubblicamente il papa assiso sulla sedia gestatoria erano i nobili non gli operai e i contadini perché quest’ultimi erano i senza diritti e i senza potere.

Ignoranza e superstizione sono state le armi più efficaci per affermare il potere temporale che ha schiacciato le coscienze dei sottoposti per secoli; in nome di un dio profano sono state indette guerre sanguinose, accumulato ricchezze, soffocato nel sangue le istanze di coloro che richiamavano agli originari valori cristiani una casta potente che si era allontanata dalla retta via.

La Santa Inquisizione è stato (e rimane) lo strumento di ricatto morale e di terrore attraverso il quale si praticava una giustizia sommaria su vittime innocenti accusate da falsi testimoni di “stregoneria”  o eresia e lasciate in mano al braccio secolare che li torturava per poi bruciarli vivi nella pubblica piazza a mo di amonimento: una tale barbarie colpiva soprattutto le donne che curavano i poveri con le erbe visto che i medici se li potevano permettere solo i ricchi che venivano ammazzati legalmente con salassi e digiuni. 

Il cattolicesimo è sempre stato il principale nemico della donna, ancora se ne vedono gli effetti nella mentalità attuale che determina comportamenti assurdi e crudelmente criminali nei confronti dei deboli. 

Il patriarcato non è solo frutto dell’antico diritto romano ma ha radici nell’avversione verso un elemento umano segretamente desiderato ma pubblicamente interdetto ai membri ecclesiastici. 

Il femminismo degli anni passati non ha risolto il problema della donna nella società, nel mondo del lavoro e nella famiglia, l’ha solo trasformata in un diverso oggetto di consumo per l’uomo.

“Il corpo è mio e lo gestisco io”. La cronaca riporta sempre più spesso notizie di stupri di gruppo su giovani donne più o meno volontariamente drogate: la storia ricorrente è che si svegliano nude in un letto estraneo e non si ricordano nulla. Sarebbe meglio per una donna – giovane e non – scegliere coscentemente di avere una relazione con un solo uomo alla volta e ricordarsi l'esperienza vissuta onde evitare di trovarsi protagonista sui social con svariati “amatori da strapazzo” che pubblicizzano le loro indegne imprese. Alle giovani generazioni manca una “educazione sentimentale”, quello che praticano porta solo all’aridità e all’uso dell’altro/a alimentando uno squallido narcisismo che viene esibito sui social.

Ogni anno si commettono femminicidi consumati con una efferatezza da far paura e qui talvolta sono le donne a fare una brutta figura: ricordo il clamore per una sentenza di secondo grado a cura di due magistrati donne che riducevano una condanna di svariati anni inflitti per un delitto orrendo (la donna era stata uccisa, tagliata a pezzi e messa in una valigia) perché conseguenza di una “tempesta emotiva” che aveva colpito l'imputato: tale provvedimento era un'autentica istigazione al delitto passionale che ha risparmiato l'ergastolo a troppi uomini che hanno massacrato troppe donne. Fortunatamente la faccenda è stata affidata ad un magistrato (uomo) che ha rimesso le cose a posto.

È molto utile rispolverare alcuni articoli del RD 16 marzo 1942 n. 262 che disciplinavano il diritto di famiglia. 

 Art. 82 – “Il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia.”
Art. 84 - “Non possono contrarre matrimonio l'uomo che non ha compiuto gli anni sedici, la donna che non ha compiuto gli anni quattordici.  
Il Re o le autorità a ciò delegate possono per gravi motivi accordare dispensa, ammettendo al matrimonio l'uomo che ha compiuto gli anni quattordici e la donna che ha compiuto gli anni dodici. “ 
Art.  149 - “Il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi. 

La moglie, durante lo stato vedovile, conserva il cognome del marito.” 

Art. 151 - “La separazione può essere chiesta per causa di adulterio, di volontario abbandono, eccessi, sevizie, minacce o ingiurie gravi. 

Non è ammessa l'azione di separazione per adulterio del marito, se non quando concorrono circostanze tali che il fatto costituisca un'ingiuria grave alla moglie.”

Art. 155 – “Il tribunale che pronunzia la separazione dichiara quale dei coniugi deve tenere presso di sé i figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione e istruzione.   L'educazione e l'istruzione devono essere conformi ai principi della morale e al sentimento nazionale fascista. 

Se uno dei coniugi è di razza non ariana, il tribunale dispone, salvo gravi motivi, che i figli considerati di razza ariana siano affidati al coniuge di razza ariana.  In ogni caso il tribunale può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata in un istituto di educazione o presso una terza persona.” 

Finalmente una buona notizia! Hanno arrestato per schiavismo un “marito” che si era portato a casa una “serva/schiava” gratis facendole l’onore di sposarla.
L’istituto del matrimonio è andato in pezzi quando le mogli/serve hanno detto basta ai tradimenti, agli abusi e alle violenze che per “amore” di un dio morto dovevano sopportare: se costui viene rinviato a giudizio e finisce nelle mani di una donna-magistrato di formazione cattolica potrebbe cavarsela a buon mercato!

Altro concetto illuminante è la dote che il padre (o chi per lui) doveva corrispondere al marito per “sostenere i pesi del matrimonio” sulla quale la donna non poteva esercitare alcun diritto o rivalsa.

Nel codice di famiglia del 1942 era prevista la potestà maritale e la norma (art. 144) stabiliva che “Il marito è il capo della famiglia, la moglie (…) è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli creda opportuno di fissare la sua residenza”. Ed ancora (art. 145): “Il marito ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sé e di somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione della sua sostanza”. 

Nel 1975 viene approvata la riforma che modifica il diritto di famiglia infatti il 19 Maggio 1975 con una larghissima maggioranza e con la sola astensione del Movimento Sociale, il Parlamento italiano approvava la legge 151 pubblicata nella G.U. del 23 maggio 1975 n. 135. Dopo un iter di quasi nove anni, la riforma arrivava in porto e veniva votata alla Camera a scrutinio segreto: voti contrari 0; tre le astensioni, quelle dei missini Antonino Macaluso, Ferdinando Di Nardo e Clemente Manco. Tutte presenti le donne: Carla Capponi Bentivegna, Maria Luisa Cassanmagnago Cerretti, Adriana Fabbri Seroni, Nilde Iotti, Maria Magnani Noja, Maria Eletta Martini.

Nella nuova legge la prospettiva cambia completamente stabilendo l’art. 24 che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti ed assumono i medesimi doveri (…). Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro, professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

La stampa di sinistra che faceva capo all’Unità riportava in prima pagina che la famiglia “non è più vista come piramide, che ha al vertice il marito, ‘capo’ e monarca assoluto” inoltre sottolineava che: “Finiscono le crudeli discriminazioni tra bambini”.

Per alcuni aspetti sembrava che la riforma rappresentasse davvero una discontinuità ma per la giornalista Danielle Turone nelle pieghe della legge, tuttavia, si annidavano elementi di continuità.

Scrive infatti sulla rivista femminista Effe già nel 1973:

“Quando la Camera dei deputati ha approvato gli articoli del nuovo Diritto di famiglia (che dovranno ancora essere approvati al Senato), dopo anni di gestazione il nuovo diritto di famiglia nasce già vecchio. (…) La voce è stata pressocché unanime: questo provvedimento rinnova in profondità la struttura familiare”. Ma “Non basta togliere dal codice la parola ‘patria-potestà’ lasciando integro il concetto, o concedere alla donna di mantenere il proprio cognome aggiungendo quello del marito, per credere di aver dato alle donne la parità. È indubbio che la nuova legge comporta mutamenti anche vistosi e apporta significative modifiche: ma ci pare interessante farne un bilancio per vedere se è esatto parlare per il prossimo futuro di reale ed assoluta parità fra i coniugi, poiché sembra piuttosto che questo nuovo diritto di famiglia si limiti a prendere atto di modifiche già esistenti, senza cercare minimamente di anticipare quella che dovrebbe essere la struttura familiare moderna”.

Successivamente ribadisce: “Non basta togliere dal codice la parola 'patria-potestà' lasciando integro il concetto, o concedere alla donna di mantenere il proprio cognome 'aggiungendo quello del marito, per credere di aver dato alle donne la parità. Questa la donna potrà ottenerla solo quando, oltre ai rapporti inter-familiari, muterà tutta l’organizzazione sociale, quando le sue possibilità di studio, di lavoro saranno uguali a quelle degli uomini, quando il 'costo' di una maternità non verrà addebitato al solo nucleo familiare ma diverrà un costo «sociale», quando alloggi, servizi sociali ed assistenziali organizzati, toglieranno la donna dal ghetto delle quattro mura domestiche. La nuova legge sulla famiglia dà alle donne nuovi diritti, ma la parità è ancora lontana”.

Personalmente considero che tutte le riforme relative alla materia in questione hanno modificato dei comportamenti esteriori ma sostanzialmente non viene riconosciuta alla donna la pari dignità come persona, conosco il problema perché ho avuto il coraggio di vivere da single e provvedere alle mie necessità avendo un clima ostile sia in famiglia che nell'area sociale. Ho combattuto tutta una vita contro il “patriarcato” esercitato dal mio genitore naturale poi quello dei suoi figli che mi hanno offesa e disonorata dinanzi ad una collettività retriva che tutt'ora poco comprende e molto giudica e condanna.

La donna, abbracciando alcune carriere tipicamente maschili o arrivando ad incarichi dirigenziali nel campo imprenditoriale, ha adottato modelli che ricalcando atteggiamenti e comportamenti a dir poco opinabili dell’altro sesso invece di salvaguardare la sua personalità ed imporre un diverso modo di intendere tali realtà. 

Ho pagato dei prezzi troppo alti per rimanere fedele ai miei principi e salvaguardare la mia individualità e posso dire per esperienza che le mie peggiori nemiche sono state e rimangono le donne e il cattolicesimo.

Sono stata colpita pesantemente nella mia dignità di essere umano proprio perché non viene perdonato alla donna l’esercizio di decidere del proprio destino, l’uscita dai modelli consuetudinari è una condanna all’isolamento e il cattolicesimo è implacabile nell’annientare tale aspirazione in generale ma in particolare in una donna.

Vi sono donne che ancora devono tacere per le molestie che ricevono sul posto di lavoro per non perdere lo stipendio ma vi sono anche molte donne che disonorano la categoria facendo carriera infilandosi nei letti “giusti”: il partito socialista e il berlusconismo rappresentano l’esempio più squallido della svalutazione della dignità della donna inserendo ai vertici di uno Stato-pagliaccio opportuniste di bell’aspetto infatti la donna intelligente è troppo impegnativa per l’uomo che l’ha sempre considerata un oggetto a proprio uso e consumo: basta essere belle, disponibili e assumere il ruolo di scimmiette ammaestrate dirette dai padroni e il danno per la collettività è garantito.

Il futuro è donna: speriamo bene!