Il caso Vannacci, alle cronache odierne, può suscitare utili riflessioni su un certo stile espressivo, che evidentemente va al di là della critica sulla persona. Dovremmo concentrarci sulle chiavi di lettura di una divulgazione universalistica e non categoriale, individuando metodi accettabili per una sana e proficua convivenza civile in special modo nella divulgazione del pensiero, al fine di preservare tutte le “sensibilità” con le quali interagiamo (che non siano sensibilità ossessive patologiche).

Basta però usare il termine “sensibilità”, per finire subito a urtare qualche sensibilità. E scusate il gioco di parole, ma mi spiego subito. Si sta sollevando una comunità che inizia a detestare quel termine, perché secondo loro è un sinonimo del “politicamente corretto”. Insomma - dicono loro - per evitare che qualcuno si offenda si sta finendo per restringere il vocabolario e circoscrivere intere latitudini del libero pensiero. Ci si sente imbavagliati.

E nasce così il fenomeno che alcuni chiamano “incontinenza verbale”.

Di questo fenomeno fa parte anche la Cancel Culture, contenitore del sottoinsieme del politicamente corretto, e naturalmente rappresenta il rovescio della medaglia. Entrambe vivono a causa di un’illusione, ossia quella di rappresentare mentalmente qualcosa di positivo o negativo indipendentemente dal suo significato naturale e oggettivo. Proprio come accade nella pareidolia quando si osservano forme che ricordano altre fattezze.

Sono dunque due eccessi: non si dovrebbe usare l’incontinenza verbale per lottare contro la cancel culture, e viceversa.

Il generale Roberto Vannacci vorrebbe contrastare il politicamente corretto “non mandandole a dire”. E finisce anche per sforare evocando lotte al pensiero unico e naturalmente svelando la sua posizione ideologica e politica, pur non parlando di politica. Quest’ultima cosa è però irrilevante.

E’ un uomo “forgiato nell’acciaio”, perché per comandare gli incursori del “Col Moschin” e la brigata della “Folgore” ci vogliono alcune precise doti, come anche per partecipare con successo a tutte le missioni speciali che abbondano nel suo curriculum. Se però certe doti non si tengono a bada usandole solo laddove servano, finiscono per travolgere il senso della realtà ritenendo il proprio agire sempre opportuno, e decontestualizzandolo in un iperbole di abusata libertà.

Perfino il Rambo cinematografico cerca di mitigare queste forme esasperate di carattere, tenendole ben ancorate al “territorio di battaglia”, ed evitando accuratamente di rigurgitarle presso la società civile. Se poi si possiede anche una laurea in “Scienze internazionali e Diplomatiche”, tra le tre magistrali che si sono conquistate, allora il livello di cultura e consapevolezza dovrebbe essere piuttosto elevato e tale da poter scrivere meglio, e molto meglio, quel libro “Il mondo al contrario”.

Altrimenti si strappano tutte le lauree e si accende un unico cero al proprio testosterone straripante.

Il pensiero libero non si deve per forza comunicare con contenuti oltraggiosi e denigratori, reclamando l’inesistente diritto di poter essere chiari e diretti. Né si lotta contro il politicamente corretto ponendosi sull’altro versante del politicamente scorretto. In medio stat virtus, direbbero i latini. Ed è assolutamente vero. Nel mezzo c’è equilibrio e forza, e non la debolezza di chi pensa di prendere posizione all’estremo per mostrarsi più coraggioso e di carattere. Ed è anche la storia che ci insegna cosa hanno combinato gli estremismi.

Non significa che, talvolta, un’”incursione” agli estremi non la si debba fare. Ma ciò è riservato ad azioni “spot” e altri terreni di battaglia, in cui qualcun altro ci potrebbe momentaneamente trascinare, nonostante si siano messe in campo tutte le precauzioni e prevenzioni possibili per evitarlo. Quindi per difesa personale, reazione inevitabile, circoscrizione spaziale e temporale.

Vi racconterò anche un aneddoto personale.

Avendo un angioma piano sulla guancia, da ragazzino venivo spesso bullizzato attraverso il body shaming. Ma a me piaceva quel segno particolare; e non mi ha mai dato fastidio fisico né allo specchio. Tanto che quando la tecnologia medica fù in grado di offrire un metodo mininvasivo, di facile rimozione attraverso il laser, feci un paio di sedute per accontentare i genitori e rimuoverne una piccola parte, poi mi stancai (oggi sarebbe anche più semplice e veloce). I bulli li ho sempre ignorati, se potevo; talvolta riducendoli alla ragione nell’unico modo che loro comprendevano. Rischiai di diventare bullo a mia volta, e non ne vado fiero. Ma ero un ragazzino, poi aoloscente (nemmeno molto tranquillo), e ragionavo come tale in un territorio nemmeno esso tranquillo.

I bulli, insomma, hanno avuto vita molto difficile con il sottoscritto (caro generale…). Nessuno ha mai fatto vacillare la mia sicurezza e assertività nei rapporti interpersonali, e questa condizione è stata peraltro tra le benedizioni che mi hanno condotto spesso a riflettere sul pensiero gentile e il rispetto - verbale anzitutto! - che si dovrebbe nutrire verso i propri simili. Ed è naturale: non tutti abbiamo il carattere necessario per affrontare certe situazioni di petto, e molti altri ragazzi più “sensibili” sono costretti a sperimentare un inferno che li travolge.

Il bullismo fa troppe vittime tra giovani e non. Oggi lo sappiamo molto bene. E quando l’estrema conseguenza non è il suicidio, sono più spesso disagi psicologici che ci si porta dietro per tutta la vita, riversandosi anche sui rapporti che si provano a costruire. Un disvalore enorme per la società, con numeri spaventosi. Non ce le possiamo permettere! Sia per l’etica umana, sia per gli altri numerosi guai che già l’umanità si porta dietro.

Vannacci evidentemente non la pensa così. Il suo pensiero incontinente diventa perciò un vero e proprio atto di bullismo, mostrandosi inutilmente omofobo e razzista, anziché effettuare la sua critica - per quanto non condivisibile - in maniera più articolata: con meno luoghi comuni e più spazio a suoi argomenti, ideologici o meno.

Questo è ciò su cui dovremmo riflettere tutti ogni qualvolta vogliamo esprimere il libero pensiero. Prendersi cura delle sensibilità degli altri non è imbavagliare il proprio pensiero o difendersi da quell’altro male che è certamente la cancel culture, ma rappresenta, invece, probabile povertà culturale e incapacità di narrazione assertiva e gentile al contempo; che sia anche una gentilezza genuina, non certo di forma o circostanza.

In conclusione, direi che Vannacci ha scandalizzato per i toni ancor prima dei contenuti. Nella filosofia e saggistica di pregio c’è molto peggio, ma i toni e il dipanarsi di una tesi logica, con premesse che si fondino su qualcosa di apprezzabile, permettono comunque di “digerire” ed esaminare i contenuti proponendo letture critiche e riflessioni adeguate. Nel caso di Vannacci è difficile, direi anche impossibile, andare oltre quella disturbante inadeguatezza dei toni.


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