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Intanto venne giorno e il giardino si riempì di personale medico e della polizia mortuaria, oltre a qualche scaltro giornalista riuscito ad eludere la sorveglianza; giunsero poi i detective, qualcuno dei quali in seguito dichiarerà che "qualcosa non tornava": uno schedario "era sicuramente stato forzato", non si trovava più la famosa agendina dell'attrice, c'erano bottigliette di farmaci, ma nemmeno un bicchiere per l'acqua che sarebbe servita a deglutire tutti quelli che servivano a farsi fuori. La defunta era uscita dalla stanza per procurarsi da bere? Eunice, allarmata già a mezzanotte, non ce lo sa dire. 

La tutrice legale della madre di Marilyn fu lasciata entrare e portò via tutto, buttandolo nell'immondizia, compresi i farmaci “ per la sua reputazione”. Nemmeno ci si è accordati sulle modalità del suicidio. Alcuni medici parlarono di quaranta pillole ingerite tutte insieme, il che avrebbe provocato fenomeni emetici, invece non rinvenuti; altri di un "continuum" di assunzioni, durante la giornata, che avrebbe fiaccato l'organismo, ma l'attrice sarebbe morta d'improvviso, senza un sintomo, senza chiedere aiuto? E' assodato, infine, che l'alcol non c'entra e quel giorno lei aveva bevuto relativamente poco, visto che non s'era praticamente mossa da casa: le sue sbronze in genere avvenivano in compagnia e alle feste.

E’ curioso questo suicidio: uno dei rari casi in cui si verifica con la vittima non sola in casa o in una camera d’albergo. 

Alcune circostanze ormai appaiono verosimili. Nella villetta in stile messicano di Helena Drive, quartiere di Brentwood, le cose non andarono come è stato detto e ripetuto: tanto, almeno, sarebbe emerso dopo un paio di altre inchieste, avviate in periodi successivi. Il discusso dottor Noguchi, famoso in seguito perché accusato di aver troppo pubblicizzato la sua attività di anatomista dei divi, e di insabbiare i casi, certificò un "suicidio probabile". Molte fonti anonime e non, una volta trascorsi provvidenziali decenni, hanno mostrato registri e documenti dai quali si evincerebbe, se non sono falsificati, che Marilyn quella notte si fece il tratto in ambulanza da casa all'ospedale e ritorno, fu poi sistemata in posa anche alquanto intrigante sul letto ( prona, cornetta in mano che faceva tu tu tu).

La mattina dopo il capo dell'FBI, famigerato Edgar J. Hoover, fece scomparire le tracce dei movimenti telefonici dell'utenza della star, e questo è un fatto. 

Secondo molti la teoria del complotto è tutta una fuffa e la povera ragazza, famosa e desiderata, ma molto malata nell'animo e dai nervi scossi, nonché dalla pillola facile, è morta forse senza volerlo, schiantata dagli abusi. Che si sia tentato di coprire qualche traccia, è normale, poiché la sventurata andava a letto con i due uomini più potenti d'America e la prudenza non è mai troppa. I due fratelli interessati, nei giorni seguenti, non mostrarono particolare afflizione per la scomparsa della comune (almeno per un periodo) amante. Lena Pepitone, la domestica di New York, indica come preferito Bobby, per la cronaca. 

D'altronde, ci si aspettava forse che John e Bob piangessero davanti a mogli e figli? O al parlamento? Ben altre gatte da pelare avevano e nemmeno tutto quel tempo per fornicare: qualche mordi e fuggi, come è spesso attestato. Mandanti di un omicidio? Per quanto li si possa odiare, è impensabile. Inoltre, la vita sessuale dei politici era allora un tabù assoluto (altrimenti Nixon sarebbe saltato in un giorno) e l'era Clinton ancora lontana. 

Il versante più accreditato, per i complottisti, rimane un altro. Forse che se la mafia o qualche sicario dei servizi avessero avuto cattive intenzioni, non avrebbero avuto modo di agire con i loro collaudati metodi? Non c'è bisogno di essere Sherlock Holmes perché si insinui il dubbio, non di un omicidio a sfondo passionale dei fratelli Kennedy magari ricattati dalla Monroe, ipotesi ridicola, ma di un'operazione tesa a farli cadere: tentativo non riuscito, tanto che si predispose il loro omicidio, giusto per tagliare la testa al toro e non vederne più uno all'orizzonte per sempre.

 Il presidente, descritto come un puttaniere, in realtà ogni tanto pensava e, benché ingabbiato nel sistema americano, quindi abbastanza ingessato nelle iniziative che pur gli stavano a cuore, stava purtroppo combattendo la mafia che il padre aveva invece blandito, a sua insaputa, per farlo eleggere; e aveva lasciato trapelare qualche veduta eccessivamente progressista ( o poco patriottica), in occasione del progetto del Nuovo Ordine Mondiale. Marilyn, che di suo contava assai poco, sarebbe stata però una pedina di peso, se si fosse riusciti a invischiare il presidente e il fratello ministro nella sua morte.

 Per gli amanti della numerologia, delle cabale varie e roba simile, John Kennedy fu assassinato il 22/11/1963, ovvero 2+2, per i quattro aerei, 11 come il giorno e 6+3:9, come settembre, codici che starebbero molto a cuore a un certo tipo di teorici di cui parleremo, anche se a noi sembrano degni di un fattucchiera e li citiamo solo per scherzo.

 Mentre uno scherzo, la morte di Marilyn Monroe, non lo fu. Mise in moto un business miliardario che ancora non è finito. La New York per turisti rigurgita di poster con lei, Lennon e Audrey Hepburn, stelle di un firmamento che vuole ancora farci sognare.

Fonti: Marilyn, the secret lives of a goddess, Anthony Summers; BBC/History Channel; "Columbus I", dell'autrice. 

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Per intanto, giova ribadire che la fonte biografica citata in calce rimane, a nostro parere, la  più autorevole cui attingere. Anthony Summers, giornalista e scrittore inglese nato nel 1942, si era occupato di Bob Kennedy, prima di scrivere la biografia di Marilyn, uscita in Italia nel 1986, per passare poi a figure come il boss dell' F.B.I. Edgar J. Hoover ed altri eventi storici, che hanno al centro gli States. Ciò che viene scritto ha un valore diverso a seconda di chi lo fa, questo è vero, e Summers appare malevolo verso gli USA. Tuttavia non abbiamo trovato mai, in questo interessante libro, un pettegolezzo gratuito, né un particolare intento, subliminale, capzioso o tendenzioso, obliquo insomma, ma solo la volontà di fare chiarezza. Come in ogni biografia ben fatta, si inquadrano l'epoca, l'ambiente e i personaggi di contorno, si consegna al lettore uno sguardo. Summers ci fornisce poi brevemente il suo parere sulla causa della morte di Marilyn, optando per la tesi di un'overdose accidentale.

 L'articolo che ho scritto, invece, mette insieme una quantità di materiale reperito in seguito, mediante i mezzi che via via sono stati disponibili negli anni; e quando un giornalista del rotocalco "VISTO", nel 2015, me ne copiò qualche passaggio e il direttore Roberto Alessi, che riuscii a contattare, mi comunicò che “pazienza se non venivo citata”, ma è legittimo scopiazzare gli scritti altrui, allora pensai che prima o poi avrei davvero dovuto scrivere qualcosa di più profondo su di lei, che compare già nel mio libro "Columbus I". E nel frattempo se ne sono sentite altre, quindi il discorso si sposta sul perché, come, quanto e a che scopo certi personaggi diventano mitici, la loro morte misteriosa e la vita di certuni, come chi scrive, ne risulti in qualche modo influenzata. 

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Mentre crescevo si imposero altri miti mediatici, dai Beatles alle nuove stelle di Hollywood, e montava il movimento femminista. Non c'era più tempo per occuparsi di queste "vecchie" signore (vecchie anche se morte anzitempo), deluse dall'oblio, che andavano spegnendosi talvolta in uno sdegnoso silenzio, come Marlene Dietrich, talaltra con l'autodistruzione, come Judy Garland, morta a Londra nel 1969, cinquantenne, trovata dal suo ennesimo e giovane marito seduta sul cesso, capo riverso a terra, zeppa di sostanze.

Però, nel 1973, le riviste italiane, evidentemente sulla scia di quelle d'oltreoceano, rilanciarono l'argomento Monroe. Si mostrava una sfocatissima foto in cui, secondo chi la stava diffondendo, Joe Di Maggio, rimasto amico e "compagno di fatto" della ex moglie, teneva in braccio un fagotto con dentro un neonato, figlio segreto e strappato all'attrice che non poteva occuparsene e lo avrebbe avuto da un uomo molto in vista ( palese allusione a un Kennedy).

Pare che Marilyn pensasse di risposare Joe, l'unico uomo che l'aveva amata davvero e senza nulla guadagnarci, ma la faccenda mi parve davvero esagerata e iniziò il mio personale periodo di "fastidio" verso la figura di Marilyn.

La donna doveva maturare, essere consapevole di sé, divenire autonoma e non dipendente dalle reazioni al suo fascino, scriveva più o meno Simone de Beauvoir nelle sue bibbie femministe, cui allora aderivo in toto. Monroe aveva puntato troppo in alto, pensando di aver diritto all'Olimpo, solo per aver incantato una platea da caserma con le sue mossette, e pagato per questo. Da giovani si è spietati.

 Gli anni ottanta furono molto diversi. L’epoca reaganiana si poneva anche l’obiettivo primario della completa distrazione di massa, insieme alla rivalutazione della propria “cultura”, che in effetti esiste, checché ne pensino gli antiamericani.

Io non sono tra questi, perché qualcosa di simile a una tossicodipendenza, una combinazione fatale, mi ha incatenato a quel paese: il cinema e la musica. Il primo, un’invenzione franco/italiana, fu tecnicamente perfezionata, negli States, attraverso i nickelodeon*  e il resto che ne seguì; la seconda, che in terra anglosassone non aveva goduto di particolari glorie da ricordare, quando fu in mano agli americani venne ovviamente cantata in inglese e da entrambi i lati dell'oceano ci si avvantaggiò di quella comunanza; gli USA, inoltre, ricavarono un marcia in più dall’apporto degli afroamericani. Non si è inventato nulla, ma ne è sortita una miscela, che ritroviamo in tutti i prodotti made in USA, e connota il loro stile multietnico. A latere, anche il Regno Unito si mise sulla scia ed io divenni  una colonizzata totale del climax angloamericano, con grave disdoro agli occhi dei tradizionalisti italici.

Sì, sono stata assoggettata, plagiata, ho il cervello lavato da quelle atmosfere tremende, alienanti paesi del Nebraska o “Thank god I'm a country boy" di John Denver. La natura, la magnificenza di certi paesaggi o manufatti, di quel paese, mi attiravano fino a un certo segno. La stessa New York, il mio feticcio incontrato a ventisei anni come una costruzione Lego illuminata, un fumetto più che una realtà, mi attraeva con il suo squallore, “dirty”, non Big Apple.

Nel 1982, complice una “nuova” inchiesta della procura losangelena sulla sua morte, riappare Marylin, rive(n)duta e corretta. Una donna avanti con i tempi, che aveva sdoganato la sessualità, così repressa in quegli Stati Uniti che sulle banconote scrivono ancora “in God we trust”” e appaiono bigotti anche quando sembrano inaugurare nuovi costumi sociali: tutto deve essere incanalato, ma gli States rivendicano di essere un paese libero. Il resto, rimane nascosto sotto il tappeto: vizi, violenza, droga a go-go. Sissignore, li hanno, anzi li detengono, ma sono legati al vecchio codice Hays della cinematografia, poi travasato nei videoclip, il circuito colpa ed espiazione.

Norma/Mariylin ha peccato e pagato, ma era una grande e ve la mostreranno fino allo sfinimento.

Continua...