In questi giorni, il dibattito pubblico italiano si è acceso attorno al rimpatrio di Mohamed Almasri, il ricercato capo della polizia libica, collegando l’evento alle politiche sull’immigrazione. In una riflessione condivisa nel programma televisivo “Otto e Mezzo” su LA7, la giornalista Lucia Annunziata ha paragonato tale vicenda ai primi provvedimenti adottati dal neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump contro l’immigrazione clandestina.

Mohamed Almasri, figura controversa nel panorama internazionale, è noto per il suo ruolo come capo della polizia libica e per le accuse di crimini e abusi sui migranti trattenuti nei centri di detenzione in Libia. Organizzazioni umanitarie internazionali hanno denunciato sistematicamente violazioni dei diritti umani nei centri sotto il controllo di Almasri, che includevano torture, detenzioni arbitrarie e traffico di esseri umani. Nonostante le accuse a suo carico, il governo italiano ha deciso di rimpatriarlo in Libia, alimentando un acceso dibattito politico e mediatico.

Lucia Annunziata ha sintetizzato il confronto con un’affermazione emblematica: “Trump ha dato un calcio ai migranti, noi abbiamo dato il controllore dell’immigrazione clandestina alla Libia”. L’analogia si basa su una visione pragmatica e al contempo controversa delle politiche sull’immigrazione, in cui il controllo delle frontiere prevale sulla tutela dei diritti umani.

Il giorno dopo la sua rielezione, Donald Trump ha adottato misure drastiche per rafforzare il controllo dell’immigrazione clandestina. Ha dichiarato l’emergenza nazionale al confine con il Messico, dispiegando 10.000 soldati e ordinando il completamento del muro di confine. Ha chiuso l’app CBP One, reintrodotto la politica “Remain in Mexico”, revocato lo ius soli e intensificato le deportazioni, con operazioni mirate contro i migranti irregolari, specialmente nelle “città santuario”.

Allo stesso modo, il rimpatrio di Almasri, nonostante il suo passato controverso, sembra rientrare in una logica di esternalizzazione delle responsabilità legate all’immigrazione. Affidare il controllo delle partenze alla Libia – pur sapendo delle accuse contro Almasri – è stato interpretato da molti come un gesto cinico, che sacrifica i diritti umani sull’altare della gestione dei flussi migratori.

L’opinione pubblica italiana si è spaccata di fronte a questa scelta. Da un lato, i sostenitori del governo ritengono che il rimpatrio di Almasri rappresenti un passo necessario per rafforzare la cooperazione con la Libia e per limitare le partenze di migranti dal Nord Africa. Dall’altro, organizzazioni per i diritti umani e diversi esponenti politici hanno espresso profonda indignazione, accusando l’Italia di collaborare con un individuo implicato in gravi violazioni.

Il parallelismo tracciato da Lucia Annunziata evidenzia un nodo cruciale delle politiche sull’immigrazione: il difficile equilibrio tra il controllo delle frontiere e il rispetto dei diritti fondamentali. La scelta di collaborare con figure come Almasri solleva interrogativi etici che non possono essere ignorati, indipendentemente dalla necessità di contenere i flussi migratori.

In conclusione, se le politiche di Trump hanno incarnato un’ideologia di chiusura e paura, il caso Almasri mette in luce i compromessi che anche l’Italia sembra disposta ad accettare per fronteggiare una questione complessa come l’immigrazione. Rimane da vedere se tali scelte si riveleranno efficaci o se, al contrario, alimenteranno ulteriori tensioni e critiche sul piano internazionale.