La Corte permanente di arbitrato dell'Aia ha sentenziato a favore delle Filippine, in una controversia legale che le vedeva opposte alla Cina in merito alla territorialità delle acque del Mar Cinese Meridionale.
L'importanza di questo mare è dovuta alla presenza di enormi giacimenti sottomarini di petrolio e di gas ed al fatto che si tratta di una delle vie d'acqua più trafficate, con un traffico mercantile stimato in 4,5 migliaia di miliardi di dollari ogni anno.
Dal 1947, dopo la sconfitta del Giappone, la Cina sostiene che il 90% delle acque del Mar Cinese Meridionale sono acque territoriali cinesi. Questa pretesa è stata in qualche modo formalizzata dalla cosiddetta "nine-dash line" (linea di nove trattini), riportata sulla cartografia ufficiale anche dal regime comunista instauratosi nel 1949. Oltre a Cina e Filippine, anche altri paesi che si affacciano su quel mare, Vietnam, Malesia, Brunei e Taiwan, ne rivendicano in parte la territorialità, come indicato nella figura.
La pretesa cinese si basa sostanzialmente sulla presenza di alcune formazione rocciose, scogliere e banchi di sabbia, su cui Pechino ha la sovranità. Ma la corte dell'Aia li ha definiti dei semplici affioramenti, visibili solo in condizioni di bassa marea e, come tali, non in grado di generare territorialità. Pertanto, larga parte del Mar Cinese Meridionale è da considerarsi costituita da acque internazionali.
La corte ha anche decretato che, sebbene pescatori cinesi, come del resto anche quelli di altri nazioni, abbiano storicamente utilizzato le isole del Mar Cinese Meridionale, non ci sono prove che la Cina abbia storicamente esercitato un controllo esclusivo sopra le acque e le loro risorse.
La Cina ha reagito duramente alla sentenza. L'agenzia di stampa ufficiale, Xinhua, l'ha definita infondata e naturalmente priva di validità.