Nuovo capitolo di giornata per l'ennesimo e ultimo, ma solo in senso temporale, caso migranti con la dichiarazione del presidente del Consiglio in pectore, Matteo Salvini, che, da Viareggio, annuncia la mossa del Governo del cambiamento in merito a quelli a bordo della nave Diciotti.
«O l'Europa decide seriamente di aiutare l'Italia in concreto, a partire ad esempio dai 180 immigrati a bordo della nave Diciotti, oppure saremo costretti a fare quello che stroncherà definitivamente il business degli scafisti. E cioè riaccompagnare in un porto libico le persone recuperate in mare.»
Per i più distratti, la Libia non è considerata un porto sicuro e riportarli in Libia, quando il porto sicuro più vicino è Lampedusa, è contravvenire al diritto internazionale.
Ma per Salvini, che evidentemente parla a nome del Governo usando il noi, violare la legge non sembra costituire un problema.
Da notare anche che, in questo caso, il ministro dell'Interno non ha paragonato la Guardia Costiera italiana al pari degli scafisti e si è pure dimenticato di dire che, battendo bandiera italiana, il porto di destinazione deve essere l'Italia. Argomento da lui sostenuto più volte negli ultimi mesi.
Una situazione paradossale che già veniva ipotizzata dall'Unhcr in merito all'ultimo salvataggio che aveva visto protagonista la nave Aquarius, auspicando "la necessità di un piano regionale per l’area del Mediterraneo che offra chiarezza e prevedibilità sul punto di attracco delle imbarcazioni che trasportano le persone soccorse."
La Diciotti era già finita al centro della propaganda politica del Governo del cambiamento per i 67 rifugiati e migranti, tra cui donne e bambini, soccorsi in mare l’8 luglio dalla nave Vos Thalassa e in seguito trasferiti a bordo della nave della Guardia Costiera Italiana.
Solo dopo alcuni giorni, alla nave era stato consentito l'approdo al porto di Trapani. Lì trascorsero ulteriori giorni, prima che fosse autorizzato lo sbarco dei naufraghi, ma solo dopo l'intervento del capo dello Stato Sergio Mattarella.