Matteo Salvini dichiara di aver difeso i confini italiani. Ma da cosa esattamente? Il Mediterraneo centrale è teatro di una tragedia umanitaria che non può essere ridotta a uno slogan politico. Bloccare persone in mare o negare loro l'accesso a un porto sicuro non è un atto di difesa, ma una violazione di precisi obblighi sanciti dal diritto internazionale e dalle Convenzioni sui diritti umani. Il salvataggio in mare non è un’opzione, ma un dovere inderogabile degli Stati, sancito dal diritto internazionale del mare e dalla Convenzione di Ginevra.
Ogni imbarcazione in difficoltà deve essere soccorso e le persone a bordo devono essere trasferite in un luogo sicuro (place of safety). Questo principio prevale su qualsiasi decisione politica o accordo bilaterale, inclusi quelli con Stati come la Libia, dove le condizioni di detenzione sono documentate come inumane e degradanti.
La chiusura dei porti italiani o il trasferimento delle responsabilità di salvataggio alla cosiddetta Guardia Costiera libica non sono solo scelte eticamente discutibili, ma anche giuridicamente insostenibili. Le prassi operative adottate negli ultimi anni dimostrano una chiara volontà di eludere gli obblighi di soccorso. In molti casi, le autorità italiane hanno imposto alle navi umanitarie di restare in attesa ("stand by") mentre si attendeva l'intervento delle motovedette libiche.
Questi ritardi hanno spesso messo a rischio la vita di persone già stremate. I trattati internazionali, come il Protocollo di Palermo e la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, stabiliscono che i diritti umani non possono essere subordinati ad accordi politici o a interessi di Stato. Qualsiasi trattato o azione che violi questi principi è considerato nullo. Inoltre, la Costituzione italiana, all’articolo 117, riconosce la prevalenza degli obblighi internazionali rispetto alle decisioni legislative interne.
Il principio di non respingimento
Il principio di non respingimento (non-refoulement) è sancito dall'art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951:
"Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche."
Questa norma fondamentale è ulteriormente ribadita da documenti come il rapporto "Rescue at Sea" (IMO e UNHCR, 2006, aggiornato nel 2015), che sottolinea l'obbligo per il comandante di una nave di verificare la presenza di richiedenti asilo a bordo e di garantire loro uno sbarco in un luogo sicuro, dove possano ricevere adeguata protezione. Tuttavia, le politiche di chiusura dei porti o di delega alla cosiddetta Guardia Costiera libica contravvengono sistematicamente a questi obblighi.
Diritti fondamentali e obblighi dello Stato
Secondo l'articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, sono vietate le espulsioni collettive e nessuno può essere trasferito verso un Paese in cui rischia torture, pene o trattamenti inumani o degradanti. Questo principio è ulteriormente confermato dall'articolo 4 del Quarto Protocollo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU).
Il caso Hirsi Jamaa e altri, deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, è emblematico. La Corte ha stabilito che il divieto di respingimento costituisce un principio di diritto internazionale consuetudinario, vincolante per tutti gli Stati. In questo caso, l'Italia fu condannata per aver trasferito migranti intercettati in acque internazionali alla Libia, un Paese che non garantisce condizioni di sicurezza. La responsabilità dello Stato si estende, infatti, non solo al proprio territorio, ma a qualsiasi situazione in cui le autorità esercitano un controllo effettivo.
La collaborazione con la Libia e i rischi giuridici
Lo stretto coordinamento tra le autorità italiane, la Marina Militare e la Guardia Costiera libica rappresenta una violazione dei principi di jus cogens, norme inderogabili del diritto internazionale. La Libia non è un luogo sicuro per lo sbarco, essendo nota per i suoi gravi abusi dei diritti umani, tra cui torture, schiavitù e violenze nei centri di detenzione per migranti. Questo contesto è aggravato dalle collusioni tra autorità locali e trafficanti di esseri umani.
La giurisprudenza internazionale, come stabilito nel caso Hirsi, riconosce che il coordinamento SAR (Search and Rescue) da parte dell'Italia configura una piena giurisdizione sulle persone soccorse. Pertanto, delegare il controllo SAR alle autorità libiche equivale a un respingimento indiretto vietato dalla CEDU e dalla Carta UE.
Obblighi di ricerca e soccorso (SAR)
L'art. 98 della Convenzione UNCLOS del 1982 stabilisce che ogni Stato è obbligato a:
- Prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo in mare;
- Assicurare un servizio permanente di ricerca e soccorso, collaborando con altri Stati.
Tali obblighi sono specificati nella Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS) e nella Convenzione SAR di Amburgo. L’Italia, come Stato costiero, ha quindi la responsabilità di garantire che ogni soccorso avvenga in modo tempestivo e che le persone siano trasferite in un place of safety, un luogo dove i loro diritti siano pienamente tutelati.
Conclusioni: quale confine stiamo difendendo?
Le dichiarazioni di Matteo Salvini e le politiche di respingimento non possono essere considerate un esempio di difesa dei confini, bensì una violazione sistematica dei diritti umani e delle normative internazionali. Bloccare o respingere persone vulnerabili, molte delle quali fuggono da guerre, persecuzioni e miseria, significa infrangere i valori fondanti della democrazia e della solidarietà umana. La sicurezza di uno Stato non può essere costruita al prezzo della disumanità. Il vero confine che dobbiamo proteggere è quello tra il rispetto della dignità umana e il precipizio dell'indifferenza. Difendere i confini non può mai giustificare il sacrificio di vite umane, né il tradimento dei principi di giustizia e solidarietà che dovrebbero guidare ogni azione di governo.
Infine, avvicinandoci al Natale, è necessario riflettere sui valori che questa festività rappresenta. Solidarietà, accoglienza e rispetto per la vita umana sono alla base di ogni società civile. Sventolare rosari e brandire il Vangelo mentre si ignorano i suoi contenuti più profondi è una contraddizione che non può essere tollerata. La vera difesa non consiste nel chiudersi, ma nel rispettare il diritto e nel preservare la dignità umana. I tempi sono difficili, ma la vera sicurezza non si costruisce al prezzo della disumanità. Salvare vite e garantire diritti non è un atto di debolezza: è l’essenza stessa di una democrazia forte e giusta.