Nella solita conferenza stampa rilasciata dal pontefice sul volo di ritorno di ogni viaggio pastorale, questo è quanto ha detto ieri papa Francesco rispondendo ad alcune domande sulla guerra in corso in Ucraina e sulla situazione politica in Europa e in Italia:


Rudiger Kronthaler, ARD
: Vorrei fare una domanda sulla pace: visto che il mio popolo è responsabile per milioni di morti, noi a scuola impariamo che non si devono mai usare armi, mai violenza, l’unica eccezione è l’autodifesa. Secondo lei in questo momento bisogna dare le armi all’Ucraina?

"Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più… La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama. Bisogna anche [considerare] un’altra cosa che ho detto in uno dei miei discorsi: che si dovrebbe riflettere ancora di più sul concetto di guerra giusta. Perché tutti parlano di pace oggi; da tanti anni, da settant’anni le Nazioni Unite parlano di pace, fanno tanti discorsi di pace. Ma in questo momento, quante guerre sono in corso? Quella che Lei ha menzionato, Ucraina-Russia, adesso Azerbaijan e Armenia che si è fermata un po’ perché la Russia è uscita come garante – garante di pace qui e fa la guerra lì –; poi c’è la Siria, dieci anni di guerra: che cosa succede lì, perché non si ferma? Quali interessi muovono queste cose? Poi c’è il Corno d’Africa; poi il nord del Mozambico; e l’Eritrea che è accanto all’Etiopia; poi il Myanmar, con questo popolo sofferente che amo tanto, il popolo Rohingya, che gira, gira e gira come uno zingaro e non trova pace. Ma siamo in guerra mondiale, per favore...Io ricordo una cosa personale, da bambino, avevo nove anni. Ricordo che si sentì suonare l’allarme del giornale più grande di Buenos Aires: in quel tempo per festeggiare o dare una brutta notizia, suonava quello – adesso non suona più – e si sentiva in tutta la città. Mamma disse: “Ma cosa succede?”. Eravamo in guerra, anno 1945. Una vicina viene a casa a dirci: “Ha suonato l’allarme…”, e piangeva, “è finita la guerra!”. E io oggi vedo ancora mamma e la vicina che piangevano di gioia perché era finita al guerra, in un Paese sudamericano, così lontano! Queste persone, queste donne sapevano che la pace è più grande di tutte le guerre e piangevano di gioia quando è stata fatta la pace. Non me lo dimentico. Io mi domando oggi se noi siamo con il cuore educato per piangere di gioia quando vediamo la pace. Tutto è cambiato. Se non fai guerra, non sei utile! Poi parlerò della Germania, dopo. Poi c’è l’industria delle armi. Questo è un commercio assassino. Qualcuno mi diceva – che capisce le statistiche – che se si smettesse per un anno di fare le armi si risolverebbe tutta la fame nel mondo… Non so se è vero o no. Ma fame, educazione… niente, non si può perché si devono fare le armi. A Genova, alcuni anni fa, tre o quattro anni, è arrivata una nave carica di armi che doveva passarle a una nave più grande che andava in Africa, vicino al Sudan, credo al Sud Sudan... Gli operai del porto non hanno voluto farlo. Gli è costato, ma [è un fatto che] oggi dice: “No, io non collaboro con questo, con la morte”. È un aneddoto, ma fa sentire una coscienza di pace. Lei ha parlato della sua Patria. Una delle cose che ho imparato da voi è la capacità di pentirsi e chiedere perdono per gli errori di guerra. E non solo chiedere perdono, anche pagare gli errori di guerra: questo dice bene di voi. È un esempio che si dovrebbe imitare. La guerra in sé stessa è un errore, è un errore! E noi in questo momento stiamo respirando quest’aria: se non c’è guerra sembra che non c’è vita. In modo un po’ disordinato, ma ho detto tutto quello che vorrei dire su questo tema della guerra giusta. Ma il diritto alla difesa sì, quello va bene, però bisogna usarlo quando è necessario".


Sylwia Wysocka, Pap
: Santo Padre, Lei ha detto: non possiamo mai giustificare la violenza. Tutto quello che succede in Ucraina adesso è la pura violenza, morte, la distruzione totale da parte della Russia. Noi in Polonia abbiamo la guerra così vicina alle nostre porte, con due milioni di profughi. Vorrei chiedere se secondo lei c’è una linea rossa oltre la quale non si dovrebbe dire: siamo aperti al dialogo con Mosca. Perché tanti hanno delle difficoltà a capire questa disponibilità. E vorrei anche chiedere se il prossimo viaggio sarà a Kiev. Grazie.

"Credo che sempre è difficile capire il dialogo con gli Stati che hanno incominciato la guerra, e sembra che il primo passo è stato dato da lì, da quella parte. È difficile, ma non dobbiamo scartarlo, dare l’opportunità del dialogo a tutti, a tutti! Perché sempre c’è la possibilità che nel dialogo si possano cambiare le cose, anche offrire un altro punto di vista, un altro punto di considerazione. Io non escludo il dialogo con qualsiasi potenza che sia in guerra, sia pure l’aggressore… A volte il dialogo si deve fare così, ma si deve fare, “puzza” ma si deve fare. Sempre un passo avanti, la mano tesa, sempre! Perché altrimenti chiudiamo l’unica porta ragionevole per la pace. A volte non accettano il dialogo: peccato! Ma il dialogo va fatto sempre, almeno offerto, e questo fa bene anche a chi lo offre, fa respirare".


Loup Besmond de Senneville, La Croix: Grazie, Santità, grazie mille per questo viaggio, per questi giorni in Asia centrale. Durante questo viaggio si è parlato molto di valori e di etica. In particolare, durante il Congresso interreligioso è stata evocata, da alcuni leader religiosi, la perdita dell’Occidente a causa del suo degrado morale. Quale è la sua opinione su questo? Lei considera che l’Occidente sia in uno stato di “perdizione”, minacciato dalla perdita dei suoi valori? Penso in particolare al dibattito che c’è in alcuni Paesi sull’eutanasia, sul fine vita, che c’è stato in Italia, ma anche in Francia e in Belgio. Grazie, Santo Padre.

"È vero che l’Occidente, in genere, non è in questo momento al livello più alto di esemplarità. Non è un “bambino di prima comunione”, no davvero. L’Occidente ha preso strade sbagliate. Pensiamo per esempio l’ingiustizia sociale che è tra noi: ci sono dei Paesi che sono sviluppati sulla giustizia sociale, ma io penso al mio continente, l’America Latina, che è Occidente. Pensiamo anche al Mediterraneo: è Occidente, e oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa, dell’umanità. Cosa ha perso l’Occidente per dimenticarsi di accogliere, quando invece ha bisogno di gente? Quando si pensa all’inverno demografico che noi abbiamo: abbiamo bisogno di gente. In Spagna - in Spagna soprattutto -, anche in Italia, ci sono paesi vuoti, soltanto venti vecchiette e poi niente. Ma perché non fare una politica dell’Occidente così che i migranti siano inseriti, con quel principio che il migrante va accolto, accompagnato, promosso e integrato? Questo è molto importante, integrare. Ma no… È una mancanza nel capire i valori, quando l’Occidente ha vissuto l’esperienza: noi siamo Paesi che hanno migrato. Nel mio Paese - che credo siano 49 milioni in questo momento - abbiamo soltanto una percentuale di meno di un milione di aborigeni, e tutti gli altri sono di radice migrante. Tutti: spagnoli, italiani, tedeschi, slavi, polacchi, dell’Asia Minore, libanesi, tutti… Si è mescolato il sangue lì, e questa esperienza ci ha aiutato tanto. Poi, per motivi politici la cosa non sta andando bene nei Paesi latinoamericani, ma la migrazione credo che in questo momento va considerata sul serio, perché ti fa alzare un po’ il valore intellettuale e cordiale dell’Occidente. Al contrario, con questo inverno demografico, dove andiamo? L’Occidente è in decadenza su questo punto, scade un po’, ha perso… Pensiamo alla parte economica: si fa tanto bene, tanto bene, ma pensiamo all’élan politico e mistico di Schuman, Adenauer, De Gasperi, quei grandi. Dove sono oggi? Ci sono dei grandi, ma non riescono a portare avanti una società. L’Occidente ha bisogno di parlare, di rispettarsi… E poi c’è il pericolo dei populismi. Cosa succede in uno stato socio-politico del genere? Nascono i “messia”: i messia dei populismi, che stiamo vedendo alcune cose, come nascono i populismi. Credo che ho menzionato qualche volta quel libro di Ginzberg, Sindrome 1933: dice proprio come nasce un populismo in Germania dopo la caduta del governo di Weimar. I populismi nascono così: quando c’è un livello di metà senza forza, e uno promette il messia. Finendo: io credo che non siamo, noi occidentali, al più alto livello per aiutare gli altri popoli. Siamo un po’ in scadenza? Può darsi, sì, ma dobbiamo riprendere i valori, i valori d’Europa, i valori dei padri che hanno fondato l’Unione Europea, i grandi. Non so, un po’ confuso, ma credo che ho risposto".


Iacopo Scaramuzzi, La Repubblica
: Buonasera, Santo Padre. Mi riallaccio a quest’ultima domanda: Lei nei suoi discorsi ha sottolineato il nesso tra valori, valori religiosi, e vivacità della democrazia. Al nostro continente, all’Europa, secondo Lei che cosa manca? Che cosa dovrebbe imparare da altre esperienze? E, se mi posso permettere, aggiungerei: poiché tra pochi giorni in Italia si fa un esercizio democratico, si vota, e ci sarà un nuovo governo, quando Lei incontrerà il prossimo Presidente del Consiglio o la prossima Presidentessa del Consiglio, che cosa consiglierà? Quali sono a suo avviso le priorità per l’Italia, le Sue preoccupazioni, i rischi da evitare? Grazie.

"Credo che io ho già risposto nell’ultimo viaggio, su questo. Ho conosciuto due Presidenti italiani, di altissimo livello: Napolitano e l’attuale. Grandi. Poi, gli altri politici non li conosco. Nell’ultimo viaggio ho domandato a uno dei miei segretari quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo: venti. Non so spiegarlo. Non condanno né critico: non so spiegarlo, semplicemente. Se i governi si cambiano così, sono tante le domande da fare. Perché oggi essere politico, è una strada difficile, essere un grande politico. Un politico di quello che si gioca per i valori della patria, i grandi valori, e non si gioca per interessi, cioè per la poltrona, gli agi... I Paesi, e tra loro l’Italia, devono cercare i grandi politici, quelli che abbiano la capacità di fare politica, che è un’arte. È una vocazione nobile, la politica. Credo che uno dei Papi, non so se Pio XII o San Paolo VI, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità… Dobbiamo lottare per aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta a niente e anzi, tira giù lo Stato e si impoverisce… Oggi la politica, in questi Paesi d’Europa, dovrebbe prendere in mano il problema dell’inverno demografico, per esempio, dello sviluppo industriale, dello sviluppo naturale, il problema dei migranti... La politica dovrebbe mettersi sui problemi seriamente, per andare avanti. Sto parlando della politica in generale. La politica italiana non la capisco: soltanto quel dato dei venti governi in vent’anni, un po’ strano… Ma ognuno ha il suo modo di ballare il tango, sai?, si può ballare in un modo o in un altro, e la politica si balla in un modo o in un altro.L’Europa deve ricevere esperienze di altre parti: alcune andranno meglio, altre non serviranno. Ma dev’essere aperta, ogni continente dev’essere aperto all’esperienza di altri".



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