Cambridge, USA - Quando un tristemente rinomato "sophomore (secondo anno della Laurea Triennale, ndr)" si trasferì ad Harvard nel primo decennio degli anni 2000, sembrava uno studente ecletticamente modello.
Nella sua domanda di ammissione dichiarava di essersi diplomato a pieni voti in un prestigioso College e di aver raggiunto le più elevate vette accademiche in un'altra pregiatissima istituzione accademica americana.
Come neo-studente ammesso ad Harvard, enunciava di aver mantenuto voti alti e di aver contribuito all'ostensione di differenti opere librarie. Durante i suoi anni al College, ostentò di aver avuto accesso ad oltre $30.000 in borse di studio e premi altamente insigni.
Nel suo ultimo anno, aveva inoltrato domanda per due illustrissime borse di studio accademiche del medesimo lignaggio, figurandosi sul buon sentiero per guadagnare il sostegno harvardiano per ambedue.
Ma sorse un dilemma di matrice accademica: un dotto professore cambridgiano aveva notato alcune similarità tra le sue opere scrittorie e quelle di un collega professorale.
Allorché la situazione si palesò in guisa difforme: i suoi voti si rivelarono inautentici, e similarmente il suo punteggio SAT, nonché la sua previa iscrizione in un altro tempio americano e mondiale dell'eccellenza accademica. Per non proferire delle ricerche, tutte plagiate.
L'intero palco narrativo assurse a gigante dai piedi di pasta frolla: l'addio polemico ad Harvard e, l'anno seguente, la dichiarazione di colpevolezza accademica con decine di capi d'accusa per reati minori, seppur non meno gravi, includenti anche il plagio e furto d'identità.
Gli annales cantabrigiensi lo istoriarono sulle superfici parietali delle sacre aule di Harvard talché fu uno dei più prominenti eventi scandalosamente tumultuosi nella più che centenaria storia delle ammissioni harvardiane.
Ma falsificare informazioni per bramare il varco nelle più rinomate università dell'Ivy League non risulta affatto raro: ci furono, in passato, scandali in cui si corruppero funzionari universitari, in cui si gonfiarono i punteggi dei test d'ammissione, e molti altre casistiche che all'uopo mi sovverranno.
Ma è giusto e moralmente accettabile tutto ciò? e perché ciò avviene anche di fronte al potenziale rischio della gogna mediatica e del pubblico ludibrio sui media sociali?
Semplice: con l'aumentare della competizione globalizzante studentesca, ostensivamente tracimante di conferimenti prestigiosi e onorificenze da capogiro, nessun neodiplomato risulterà cerebralmente insano da optare di recitare la parte di "non-primadonna", bensì tutti brameranno ad ammantarsi del vezzo della gloria accademica.
Spinti da ambizione propria o genitoriale, gli studenti sono intrinsecamente spinti ad affacendarsi in sempre più vasti sforzi per essere ammessi nel tempio accademico delle migliori università nazionali e/o internazionali.
Ergo: Harvard, Stanford, Yale, MIT, ... vengono annoverati tra i più precipui obiettivi di falsificazioni nelle domande d'ammissione. Eppure ciò appare di pressocché parva importanza, difatti le amministrazioni universitarie dei migliori centri di istruzione superiore, europei ed americani in primis, non hanno mai intrapreso estesi e proficui provvedimenti pubblici per sradicare tali vicissutudini malfattrici alla radice.
E in Italia si stanno adottando solo risoluzioni di "bona voluptas" per non sfavorire il giro d'affari dei "compari dei compari" dei laureifici o stanno emergendo nuove e risolute scelte risolutive di fronte a tale fenomeno?
Tra l'uno e l'altro, lasciamo che ognuno di noi, nelle sue segrete stanze, possa disaminare se stesso alla luce della sua coscienza, seppur senza dimenticarci delle realtà scolastiche (Usa ed UE) periferiche, sottofinanziate, che spesso non possiedono l'imbarazzo di creare lunghissime liste di selezione per l'ammissione studentesca.
Sappiamo che solo in un utopistico mondo fatato non esistono questioni del genere, ma noi possiamo solo incoraggiare e lodare qualsivoglia figura genitoriale insegni ai propri figli ad amare lo studio personale della realtà, e non a bramare il "teatro delle vanità" di un qualsivoglia gagliardetto dei santuari accademici dell'Ivy League.
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