Il colore nero, tanto caro alla (post) camerata Giorgia Meloni, non può però esserle gradito nel caso descriva le contrarietà di una giornata. E che oggi la giornata per le premier e il suo governo sia nerissima, almno sul tema migranti, non c'è solo la sentenza della Cassazione a sezioni unite, ma anche le considerazioni dell'ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) sul protocollo Albania.

La Commissione europea ha di recente risposto ad un'interrogazione parlamentare sulla compatibilità del Protocollo Italia-Albania con il diritto dell'Unione
europea, sottolineando che la sua attuazione non deve compromettere il sistema europeo comune di asilo né violare le norme dell'UE.

Secondo la Commissione, il Protocollo deve rimanere "complementare alle vie di accesso all'asilo esistenti, senza ostacolare le finalità e gli obiettivi del diritto unionale in questo ambito". Inoltre, non deve pregiudicare i diritti e le garanzie dei richiedenti asilo trasferiti in Albania, né di coloro che potrebbero essere rimpatriati nel loro Paese di origine in caso di rigetto della domanda.

A seguito di ciò, ASGI evidenzia come la realizzazione di procedure extraterritoriali in centri di detenzione in un Paese terzo come l'Albania presenti di per sé diversi aspetti di criticità alla luce del diritto dell'Unione.

Il monitoraggio svolto dal Tavolo asilo e immigrazione (TAI), che riunisce quasi 50 associazioni tra cui ASGI, presso i centri di Shengjin e Gjader durante le operazioni condotte dal Governo italiano (ottobre e novembre 2024 e gennaio 2025) ha fatto emergere numerose violazioni degli standard previsti dalle direttive europee in materia di asilo e accoglienza.

Tra i principali punti critici sollevati si evidenziano:

  • Qualificazione impropria delle aree in Albania come “zone di transito o di frontiera” ai sensi del diritto UE. ASGI sottolinea che questa equiparazione, basata su un'interpretazione estensiva non supportata dal diritto europeo, rischia di compromettere l'interpretazione uniforme del diritto dell'Unione Europea e sottopone arbitrariamente i richiedenti asilo a regimi più restrittivi.
  • Inefficacia della selezione delle persone “vulnerabili” sulle navi o al porto di Shëngjin. L'identificazione sommaria e l'assenza di personale adeguato e competente rischiano di esporre persone vulnerabili a procedure di frontiera accelerate e trattenute in condizioni di accoglienza non appropriate, violando gli artt. 20 e 21 della Direttiva 2013/33/UE. Numerose persone riconosciute vulnerabili solo dopo l'arrivo in Albania ne sono la prova.
  • Compromissione dell'effettività del diritto di difesa in Albania. I colloqui per la richiesta d'asilo e i ricorsi condotti da remoto, con il difensore fisicamente lontano dal proprio assistito, unitamente alla comunicazione tardiva delle udienze e alla privazione dei cellulari, rendono impossibile un effettivo esercizio del diritto di difesa, in violazione dell'art. 10 par. 4 e dell'art. 9 par. 6 della Direttiva 2013/33/UE e potenzialmente degli artt. 6 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
  • Assenza di effettiva informazione legale ai richiedenti asilo trattenuti in Albania. La notifica della decisione negativa prima dell'udienza di convalida del trattenimento e l'impossibilità di ricevere consulenza legale e di contattare un difensore prima dell'audizione con la Commissione territoriale violano l'art. 6 e l'art. 12 della Direttiva 2013/32/UE. La compressione del diritto alla difesa è aggravata dal breve termine di soli 7 giorni per proporre impugnazione, in violazione dell'art. 47 della Carta.
  • Trattenimento arbitrario dei richiedenti asilo in centri situati in Albania. La mancata immediata liberazione in caso di mancata convalida del trattenimento, la serialità degli ordini di trattenimento senza riferimenti alla situazione personale, e l'assenza di misure alternative effettivamente accessibili configurano una privazione arbitraria della libertà personale, in contrasto con gli artt. 8-9 della Direttiva 2013/33/UE e l'articolo 6 della Carta. Anche la privazione della libertà durante il trasferimento, in assenza di una base giuridica chiara, è considerata arbitraria e in violazione dell'art. 13 della Costituzione e dell'art. 5 CEDU, con conseguenze sull'uniforme interpretazione dell'art. 6 della Carta.
  • Impossibilità di applicare le procedure di Dublino a causa della mancata registrazione delle impronte digitali nel sistema Eurodac in un Paese terzo.

Alla luce di queste gravi violazioni, ASGI ritiene che il Protocollo e la sua attuazione compromettano l'applicazione delle norme armonizzate e degli obblighi previsti dal diritto dell'Unione, ledano il sistema europeo comune di asilo e i diritti e le garanzie che gli Stati membri devono concedere alle persone bisognose di protezione internazionale.

ASGI, pertanto, ribadisce la necessità che la Commissione europea si attivi al più presto per garantire il rispetto del diritto dell'UE e sottolinea che i centri in Albania non possono in alcun modo essere trasformati in “returns hubs”, in quanto la Direttiva Rimpatri non ammette la possibilità di delegare l'esecuzione di decisioni di rimpatrio ad uno Stato terzo.



Fonte: ASGI, comunicato stampa