Esiste un episodico disturbo della mente che è quasi esclusivo di quelle personalità forti, determinate e predisposte al lato chiaro della forza. Potrebbe non essere il solo ma è certamente quello più diffuso e invalidante: la depressione. Non parlerò di questo oggi, perché questa fastidiosa seccatrice, rompiscatole e guastafeste, merita una riflessione dedicata che vorrei fare in un altro momento.

Ora invece parleremo di salute mentale come aspetto di interesse sociale e comportamentale rispetto a qualunque disturbo che vi si possa associare. E non quando si verifica in sé stessi, ma quando si è osservatori verso chiunque altro ne sia momentaneamente o cronicamente affetto.

Già la locuzione “salute mentale” non è asettica e incline al suo significato letterale, ma suscita, a seconda di come si è settati sul momento, emozioni di vario genere: ilarità, timore, inibizione, pena, rabbia. Ciò non accadrebbe se parlassimo di “salute fisica”, che comprenderebbe anche quella mentale. Quando specifichiamo la “mente” non facciamo altro che riferirci a un organo del corpo umano. Quindi potremmo dire salute del cuore, del fegato, dell’alluce del piede.

Ma quella mentale… La temiamo. Ne rifuggiamo perché coinvolgere la mente in qualche tipo di disfunzione significa mettere in discussione il controllo del sé, dover considerare un’alterazione patologica che compromette l’identificarsi e l’agire nel sistema sociale. Abbiamo idealizzato la mente come qualcosa d’infallibile; e la sua fallibilità ammissibile solo nella mancanza di volontà e personalità. Quindi non ci si potrebbe/dovrebbe ammalare, se non a causa di debolezza e inefficienza soggettiva (e nemmeno oggettiva, o sociale!).

Ma quanto è debole e assurda questa spiegazione che prova a rifuggire dai guasti che possono coinvolgere l’organo mentale?

La volontà e personalità, che per economia di ragionamento generalizziamo nel famoso Io, sono nella mente stessa e non stanno altrove nel corpo. Quindi se qualcosa non sta andando per il verso giusto è chiaro che anche l’Io è in qualche misura compromesso. Dunque non si può pretendere dal soggetto affetto di darsi da fare e venirne fuori, magari motivandolo con frasi sciocche: «Guarda quel paralitico, questi sono guai. Tu per fortuna non hai niente!».

Non avrebbe “niente”?!

Ecco come noi proviamo a giustificare quella debole e assurda inferenza: facciamo paragoni con i mali percepibili e visibili, come può essere la disabilità fisica. Ammettiamo quella mentale solo se è eclatante e devastante; se è follia pura o limite genetico. Si minimizza ogni altro disturbo della personalità: depressione, bipolarismo, istrionismo, narcisismo, ansia, egoismo, paranoia, psicopatia, disturbi borderline e post-traumatici. Questi sarebbero tutte condizioni “banali” che dipendono da sé stessi, che si possono risolvere solo con la “forza di volontà” (che probabilmente sta nel piede sinistro!).

E se va male s’invoca la riapertura dei manicomi, o giù di lì. Mancano quella comprensione e compassione riservate all’esclusivo male fisico e visibile.

Chi la pensa così è indubbio che soffra anch’egli di problemi inerenti la propria salute mentale. Dobbiamo ricordare che anche la condizione d’ignoranza può rappresentare un disturbo psicologico, quando non si prende coscienza di essa e si pretende di poter ragionare di questioni su cui si sa poco o nulla. Si tratta dell’ignoranza patologica; e fa parte di quei problemi minori come le piccole fissazioni e paranoie rapportabili al male fisico di un ginocchio sbucciato che si può anche automedicare.

Sebbene l’ignoranza patologica sia un male devastante per la società fa paradossalmente parte di quei disturbi minori che si possono risolvere da sé. Ma per quell’altro elenco di affezioni mentali viste prima e considerate altrettanto banali, o perfino “comode scuse” di chi ne sarebbe affetto, non esiste possibilità di automedicazione! E’ pressoché impossibile autodiagnosticarsi il proprio disturbo, potendo al più percepire che qualcosa non va. Ancor più difficile, e raro, chiedere aiuto ammettendo di non potercela fare da soli. Diventa fondamentale che i propri cari, gli amici, comprendano e provino in tutti i modi a rendere consapevole il soggetto, aiutandolo a intraprendere un percorso di guarigione.

Ogni disturbo psicologico è la semplice risposta patologica a condizioni ambientali stressanti. Pare ci sia anche una predisposizione genetica a sviluppare queste risposte eccessive, ma qui dobbiamo comprendere una cosa sola: la mente è affetta da un’infinità di disturbi, probabilmente non esiste al mondo un individuo totalmente sano (io, di certo, non lo sono).

Se nel mondo occidentale le malattie cardiovascolari rappresentano attualmente la prima causa di morte prematura, ricordiamoci anche che i problemi di salute mentale che ci affliggono stanno avviando quel medesimo mondo alla rovina. Già per il solo fatto di non esserne consapevoli.

Un’altra fondamentale ragione che depone per la cooperazione umana, con inevitabile necessità di solidarietà e interazione.


📸 base foto: “Uomo disperato”, olio su tela di Gustave Courbet (1843-1845), pubblico dominio