Nunc de consuetudine exercitationis dicam. Così si dovrebbe intitolare qualsiasi commento a ciò che Matteo Renzi dice e scrive.

Una forza dell'abitudine che in Renzi si esprime nella solita sintassi, nella solita retorica, nei soliti contenuti. Tutto condito con la solita doppiezza di chi vuole dare di sé un'immagine positiva e liberale, ma non riesce a nascondere la vera natura di famelico arrampicatore sociale che si nutre di vendetta e di piccoli e grandi ricatti.

Nell'ultima Enews, del 21 marzo, l'ex premier ed ex segretario ci parla dei trattati europei, di quanto è stato bello fare il sindaco e di quanto lui sia stato bravo a farlo, di quanto è successo nella scorsa settimana e, naturalmente di quanto sono brutti sporchi e cattivi i 5 Stelle.

Mentre nel PD si discute e si vota "praticando la democrazia" nelle elezioni a segretario del partito, i 5 Stelle cacciano i candidati sgraditi a Grillo. Questo il concetto espresso da Renzi che esprime, usando il plurale maiestatis, solidarietà ai militanti Cinque Stelle eletti e cacciati.

A parte il fatto che si potrebbe fare qualche precisazione anche sulla democrazia del PD in relazione ai metodi di discussione e ai metodi con cui vengono prese le decisioni in quel partito, ma ciò comporterebbe una disgressione non certo breve.

Quindi, limitiamoci a registrare che, nell'occasione, Matteo Renzi ha ragione da vendere nel criticare Grillo. Quello che però nella sua Enwes si è dimenticato di citare è quanto accaduto in Senato la scorsa settimana con i senatori PD che tra voti contrari e uscite di comodo hanno contribuito a negare la decadenza dall'incarico da senatore ad Augusto Minzolini.

Quel voto è da giudicarsi scandaloso perché il Senato doveva decidere in base alla legge Severino che, in seguito alla sentenza che aveva condannato il senatore forzista a più di due anni di reclusione, ritiene non degno di sedere in un'aula parlamentare chiunque sia stato ritenuto colpevole in un giudizio penale e gli sia stata comminata una spena superiore ai due.

Quel voto, per chi da sempre pontifica su legalità e rispetto delle regole, doveva essere scontato. Si trattava solo di un voto tecnico che non doveva entrare nel merito della vicenda giudiziaria, ma doveva semplicemente applicare il dettato della legge Severino, licenziata appositamente per ridare un minimo di credibilità alla casta dei politici.

Il Partito Democratico si è ben guardato dal farlo, quasi sicuramente per ringraziare la posizione di Forza Italia nei confronti del voto, sempre nella stessa aula, contro la sfiducia al ministro Luca Lotti.

Matteo Renzi, curiosamente, ha dimenticato di parlare di questa vicenda. Vedi un po' la coincidenza. Mike Bongiorno, sempre citando Renzi, lo avrebbe redarguito con un ahi ahi signora Longari... anzi, ahi ahi signor Matteo.