«I querelanti hanno dimostrato che Google ha consapevolmente adottato una serie di misure anticoncorrenziali per raggiungere e mantenere un potere monopolistico nei mercati dei server pubblicitari e dello scambio di annunci su Internet. Per più di un decennio, Google ha collegato il suo server pubblicitario e gli scambi pubblicitari attraverso clausole contrattuali e integrazione tecnologica, il che ha consentito all’azienda di stabilire e proteggere la sua posizione monopolistica in entrambi i mercati ... finendo per creare un danno significativo ai propri clienti e impedendo  ai rivali di competere con lei».

Questo è quanto ha dichiarato la giudice Leonie Brinkema del tribunale di Alexandria, in Virginia, nel riassumere la sentenza di 115 pagine relativa alla causa intentata dal Dipartimento di Giustizia dell'amministrazione Trump nel gennaio 2023.

La giudice Brinkema non ha tuttavia accolto tutte le accuse mosse contro Google. Nel suo pronunciamento, ha stabilito che i pubblici ministeri non sono riusciti a dimostrare che l'azienda detenesse un monopolio nel mercato delle reti pubblicitarie per inserzionisti, respingendo quindi questa parte delle accuse.

Per tale motivo Lee-Anne Mulholland, vice presidente dei Regulatory Affairs di Google, ha commentato così la sentenza, annunciando il ricorso:

«Abbiamo vinto metà di questa causa e faremo appello per l’altra metà. Il tribunale ha stabilito che i nostri strumenti pubblicitari e le nostre acquisizioni, come DoubleClick, non danneggiano la concorrenza. Non condividiamo la decisione della Corte riguardo ai nostri strumenti per i publisher. I publisher hanno molte opzioni e scelgono Google perché i nostri strumenti di tecnologia pubblicitaria sono semplici, convenienti ed efficaci».

Va poi aggiunto che la prossima settimana un giudice, per effetto della sentenza della scorsa estate in cui Google è stata ritenuta colpevole di aver violato le norme antitrust, potrebbe imporre alla società californiana di cedere alcuni sei suoi asset più importanti, ad iniziare al browser Chrome e a rinunciare ad alcuni accordi di esclusiva con altre aziende – come, ad esempio, Apple – che rendono Google il motore di ricerca predefinito su molti smartphone.