"Se altrove il giornalismo è la professione del dare fastidio, a Gaza è la professione della morte. Non solo per il giornalista, ma per tutta la sua famiglia".

Con queste parole Wael Al-Dahdouh, giornalista di Gaza di Al Jazeera, ha iniziato il suo racconto in conferenza stampa alla Camera.

La storia di Wael Al-Dahdouh ha fatto il giro del mondo il giorno in cui, mentre era in diretta sulla sua emittente per raccontare quello che accadeva a Gaza, ha ricevuto la notizia che metà della sua famiglia, tra cui la moglie, un figlio, una figlia e un nipotino, era stata uccisa in un bombardamento. Un altro figlio, anche lui giornalista, sarebbe morto nello stesso modo qualche settimana dopo.

La tragedia che l'ha colpito non gli ha impedito di continuare a fare il suo lavoro perché, ha detto, "la mia determinazione a raccontare è stata infinita". Un esempio di resistenza, di professionalità, di coraggio.

"A volte non credo di essere vivo e di essere sopravvissuto a tutto quello che ho visto - ha detto -. La guerra a Gaza è fuori da ogni schema e così anche il nostro lavoro. Abbiamo raccontato tutto di quel conflitto soprattutto a chi era fuori che non aveva altra fonte. Noi giornalisti non siamo di una parte o dell'altra: siamo professionisti e seguiamo le regole deontologiche. Ma abbiamo comunque pagato un prezzo altissimo: 205 giornaliste e giornalisti sono stati uccisi, molti di loro mentre facevano il loro lavoro ed erano riconoscibili come operatori dei media".
Wael stesso è stato ferito e il suo operatore è stato ucciso davanti ai suoi occhi.

A Gaza tutti sono stati sfollati diverse volte e i giornalisti non hanno fatto eccezione, costretti a vivere in condizioni terribili, senza neanche un bagno. La cosa più drammatica della guerra è come costringe a vivere gli sfollati, ha sottolineato il giornalista. Nonostante questo, hanno continuato a raccontare al mondo quello che accadeva nella Striscia, con tenacia e a rischio della vita.

"Le persone sono state disumanizzate e Gaza non si riconosce più - ha concluso -, ma ricostruire è il nostro obiettivo. Sono un giornalista, non faccio valutazioni politiche e non sono il portavoce di nessuno, ma Gaza vuol dire un popolo e non si può parlare con disprezzo di un intero popolo. Da 50 anni provano a cacciare i palestinesi da Gaza. Non ci sono mai riusciti e non ci riusciranno neanche questa volta".
Grazie a Wael Al-Dahdouh per la sua straordinaria testimonianza, per il suo coraggio, per non avere ceduto neanche davanti al dolore più grande che una persona possa provare. È a professionisti come lui che dobbiamo la conoscenza del massacro compiuto ai danni del popolo palestinese che il governo israeliano ha tentato in tutti i modi di oscurare, impedendo alla stampa internazionale di entrare nella Striscia.


Questo è quanto ha riportato la deputata Laura Boldrini nel proprio account social. Un racconto, ovviamente, che non ha trotvato spazio sui media, ancor di più sui media di regime.

Una piccola riflessione. Wael Al-Dahdouh ha dimostrato di essere un giornalista, un vero giornalista. Perché, allora, dovremmo definire giornalisti personaggi come Porro, Giubilei Sallusti, Del Debbio, Nirenstein, Terranova, Volli e tanti altri che campano e prosperano per fare i megafoni del regime, pretendendo persino di far credere che il genocidio nei confronti del popolo palestinese sia un atto dovuto?