Difficile comprendere la scelta di Giuliano Amato di voler comunicare in conferenza stampa la decisione sui tre referendum di cui la Corte costituzionale, da lui presieduta, doveva ancora esprimere l'ammissibilità. Forse, in base a quanto da lui dichiarato, avrebbe fatto molto meglio ad affidarsi, come in precedenza, ad uno stringato comunicato stampa. Invece...

Dopo aver spiegato che il referendum sull'omicidio del consenziente non poteva passare perché l'ambito, a causa  del titolo assegnato dai promotori al referendum (dovuto semplicemente al fatto che fa riferimento ad una legge del codice Rocco che con tali termini si esprime sull'argomento) che prendeva in considerazione sarebbe stato più ampio di quello legato alle problematiche più limitate dell'eutanasia (sic), Amato ha detto che il quesito referendario sulla Cannabis doveva essere respinto perché la depenalizzazione avrebbe permesso la coltivazione di piante utili alla produzione di droghe pesanti e non quella della cannabis perché, secondo lui (ed evidentemente i giudici della Consulta) i promotori avrebbero scritto male il quesito. 

Ma è davvero così?

Questo è quanto hanno dichiarato i promotori del referendum a commento delle parole pronunciate da Amato in conferenza stampa, in relazione al quesito sulla liberalizzazione della cannabis:

Il quesito referendario toccava tre punti del testo unico sugli stupefacenti: l’articolo 73 al comma 1 (che rimuoveva la parola “coltiva”), l’articolo 73 al comma 4 (che rimuoveva le pene detentive da 2 a 6 anni oggi previste per le condotte legate alla cannabis) e l’articolo 75 al comma 1 (che rimuoveva la sanzione amministrativa del ritiro della patente).Le argomentazioni del presidente della Corte hanno riguardato il primo punto. Sotto tre aspetti, tra loro anche inconciliabili.A) Amato ha sottolineato come il comma 1 dell’articolo 73 faccia riferimento alle tabelle 1 e 3 delle sostanze stupefacenti, che non includono nemmeno la cannabis, che si trova nella tabella 2. Facendo intendere che questo sia avvenuto per un errore materiale. Così non è. Infatti il comma 4 richiama testualmente le condotte di cui al comma 1 dello stesso articolo 73, tra le quali è ricompresa proprio quella della coltivazione. Appare evidente, dunque, come non si possa prescindere da una lettura combinata dei due commi. In altre parole, i proponenti non hanno fatto riferimento al comma 1 perché volevano legalizzare la coltivazione di droghe pesanti, bensì perché non si poteva fare altrimenti, dal momento che i due commi sono legati. Se non si fosse eliminato l’inciso “coltiva” dal comma 1, sarebbe rimasta la sanzione pecuniaria elevatissima prevista dal comma 4 per tutte le condotte legate alla cannabis.Mentre l’intento dei promotori era quello di decriminalizzare del tutto la coltivazione a uso personale. In ogni caso, comunque – ed è quanto esposto nella memoria difensiva del quesito e nel corso dell’udienza in Corte – questo non avrebbe comportato automaticamente la libera produzione di ogni tipo di sostanza. La parola “coltiva” fa riferimento alle piante: l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis. Si possono coltivare – certo con grandi difficoltà e in determinate regioni del mondo – papavero e coca ma per consumarle come stupefacenti occorre trasformarle: la “produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione” sarebbero rimaste punite nel comma 1 del 73. Questo non avrebbe comportato alcuna violazione degli obblighi internazionali.Di qui la scelta di eliminare il solo termine «coltiva» è indice dell’intenzione del Comitato promotore di legittimare tale attività in quanto riferibile alla sola cannabis, lasciando dunque operare l’area di penale rilevanza sulle successive fasi della produzione e fabbricazione, in tal modo non andando a incidere sulla punibilità di condotte che attengono ad altre sostanze stupefacenti. é quanto è stato documentato davanti alla Corte.B) Sconfessando le precedenti affermazioni, il Presidente Amato ha poi aggiunto che l’eliminazione dell’inciso “coltiva” dall’art. 73 comma 1 non ne avrebbe comunque determinato l’impunità, perché la coltivazione rimane punita dagli articoli 26 e 28 che rimandano alla pena prevista per la fabbricazione illecita (prevista dal 73 comma 1), con ciò qualificando il quesito referendario come INIDONEO a conseguire lo scopo abrogativo perseguito dal Comitato promotore. Delle due l’una: o l’eliminazione della parola “coltiva” determina la depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante e quindi violerebbe – ma non viola – le convenzioni internazionali, oppure ci troviamo al cospetto di un ritaglio inutile, che non ridurrebbe l’area di penale rilevanza di alcuna di queste condotte.Oppure, esiste una terza via, che è quella indicata dal Comitato Promotore facendo stretto riferimento al dato normativo: gli articoli 26 – 27 – 28 si trovano nel Titolo III del Testo Unico e recano testualmente “Disposizioni relative alla coltivazione e produzione, alla fabbricazione, all’impiego ed al commercio all’ingrosso delle sostanze stupefacenti o psicotrope”. Sono relativi, cioè, alla coltivazione massiva e non rudimentale e prevedono che la condotta posta in essere in assenza di autorizzazione sia assoggettata alle stesse pene e sanzioni previste per la fabbricazione illecita (73 comma 1). Dunque eliminando l’inciso “coltiva” dal solo articolo 73 commi 1 (e 4 di rimando), ad andare esente da pena sarebbe stata la sola coltivazione rudimentale a uso personale e non anche quella all’ingrosso. Tutto ciò in perfetta aderenza con quanto stabilito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nell’aprile 2020.C) Il Presidente Amato ha anche affermato che il titolo del referendum fosse fuorviante e non corrispondente ai ritagli effettivamente proposti dai promotori. In particolare, ha sostenuto che il nome indicato fosse “referendum cannabis” malgrado due dei tre interventi riguardassero invece tutte le sostanze e non solo la canapa. In realtà il titolo del referendum, così come ratificato e ritenuto corretto dall’Ufficio centrale referendum della Cassazione è: “Abrogazione parziale di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti”. Laddove i termini produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti altro non sono che la trasposizione letterale della rubrica stessa dell’art. 73, cui è stato aggiunto il solo termine “coltivazione” in modo da consentire agli elettori chiamati al voto di individuare correttamente gli interventi più rilevanti dei quesiti referendari.

Di seguito, dalla sede dell'Associazione Luca Coscioni, la conferenza stampa dei Comitati promotori dei referendum sull'eutanasia e sulla cannabis, dopo le dichiarazioni del presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato sull'ammissibilità dei quesiti:

Infine, per coloro che non lo sapessero, ecco un piccolo excursus delle principali benemerenze di Giuliano Amato. Dopo essere passato indenne dalla bufera di mani pulite, nonostante fosse riconosciuto come consigliere economico e politico di Bettino Craxi, tanto da diventarne il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei due governi da lui presieduti, ritroviamo Giuliano Amato premier nel 1992, quando approvò, l'11 luglio 1992, un decreto-legge da 30.000 miliardi di lire in cui, tra le altre cose, veniva deliberato (retroattivamente al 9 luglio) il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti bancari oltre al dimezzamento degli interessi dei risparmi sui libretti postali. Il 17 settembre di quell'anno, Amato decideva di far uscire la moneta nazionale dallo SME, provocandone una fluttuazione che lui aveva dichiarato che avrebbe riguardato solo le monete europee... chi avesse importato prodotti dal mercato Usa in quel periodo ancora si lecca le ferite!

Oltre che, seppur marginalmente, coinvolto nell'inchiesta su MPS in relazione alla questua per una sponsorizzazione/finanziamento al circolo del tennis da lui frequentato, lo ritroviamo invece coinvolto, in qualità di vicesegretario del PSI, nelle inchieste giudiziarie relative a una tangente di 270 milioni di lire per la costruzione della pretura di Viareggio, in cui avrebbe tentato di indurre la vedova di un ex senatore e sottosegretario del Partito socialista italiano, Paolo Barsacchi, a omettere importanti dettagli nel dibattimento giudiziale, vicenda che viene riproposta dal Fatto Quotidiano in occasione della sua nomina a membro della Corte Costituzionale. In sua difesa Giuliano Amato risponde con una lettera a La Repubblica del successivo 17 settembre 2013, dove afferma che in realtà lo scopo di quella telefonata era di non fare nomi di persone su cui non aveva alcun indizio di colpevolezza, come aveva già ribadito nel novembre del 1990 davanti al tribunale di Pisa che, evidentemente convinto dalla deposizione, non ha ritenuto di dover procedere nei suoi confronti.

Grazie a Napolitano Amato viene nominato giudice costituzionale per sostituire Franco Gallo, in scadenza di mandato e adesso, come giudice anziano presiederà la Consulta - con che risultati e con che qualità lo abbiamo potuto vedere - fino al prossimo settembre quando andrà in pensione... forse.