Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge sulla sicurezza pubblica che segna una svolta radicale nella regolamentazione della canapa industriale in Italia. Con l'articolo 18 del provvedimento, il Governo ridefinisce i confini della legge 242/2016, introducendo restrizioni severe sull'uso e la commercializzazione delle infiorescenze, anche quando provenienti da varietà legali. Un cambiamento che di fatto chiude l'esperienza dei “cannabis light shop” e riporta l'intera filiera sotto il rigido controllo delle norme antidroga.  

La legge 242/2016 aveva aperto la strada alla coltivazione e alla trasformazione della canapa per scopi industriali, promuovendo settori come la bioedilizia, la cosmesi e l'agricoltura sostenibile. Le nuove norme, però, circoscrivono drasticamente il campo d'azione. La coltivazione è ora consentita solo se finalizzata a usi industriali leciti, come la produzione di materiali per l'edilizia o cosmetici, purché non vi sia alcun collegamento con il consumo umano.  

Il cuore della stretta risiede nel nuovo comma 3-bis, che esclude esplicitamente dalla legge 242 tutte le attività legate alle infiorescenze:  

  • Importazione, lavorazione, detenzione, cessione, distribuzione, commercio, trasporto e vendita al pubblico;  
  • Consumo di prodotti derivati (infiorescenze essiccate, tritate, estratti, resine e oli).  

Queste attività rientrano ora nel Testo unico sugli stupefacenti (DPR 309/1990), equiparando le infiorescenze di canapa – anche a basso contenuto di THC alle sostanze psicotrope. Ciò significa sanzioni penali, sequestri e rischio di procedimenti giudiziari per chi le commercializza o le detiene, anche se provenienti da coltivazioni autorizzate.  

Un'eccezione è prevista per i semi, la cui produzione resta consentita, ma solo per usi legittimi e nel rispetto dei limiti di contaminazione da THC stabiliti dal Ministero della Salute. Tuttavia, il comma 3-bis ribadisce il divieto assoluto di utilizzare le infiorescenze, fatta eccezione per la loro trasformazione finalizzata esclusivamente alla produzione di semi.  

A vigilare sul rispetto delle regole non sarà più il Corpo Forestale dello Stato, ma il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare, con ispezioni estese anche alla filiera agricola dei semi. Questo passaggio sottolinea l'intenzione del Governo di intensificare i controlli, trattando la canapa come una questione di ordine pubblico.  

La giustificazione ufficiale della riforma è la prevenzione di rischi per la sicurezza stradale e pubblica, legati al possibile consumo di prodotti a base di infiorescenze che potrebbero alterare lo stato psicofisico. Tuttavia, la decisione ignora le critiche di un settore che, negli ultimi anni, aveva generato un indotto stimato in oltre 200 milioni di euro, con migliaia di posti di lavoro legati ai negozi di “cannabis light”.  

L'articolo 18 del decreto-legge segna la fine di un mercato in espansione, costringendo alla chiusura esercizi commerciali specializzati e mettendo a rischio investimenti in ambito agricolo e industriale. Le associazioni di categoria denunciano un ritorno al proibizionismo, evidenziando come la canapa a basso THC (inferiore allo 0,3%) non abbia effetti psicoattivi significativi.  

Il provvedimento, ora al vaglio del Parlamento per la conversione in legge, solleva interrogativi sull'effettiva capacità di bilanciare sicurezza e sviluppo economico. Mentre il Governo celebra la lotta alle “droghe leggere”, gli operatori del settore temono un danno irreperibile per un'agricoltura innovativa e sostenibile, chiedendo modifiche che distinguano chiaramente tra usi industriali e consumo ricreativo.  

Una cosa è certa: con questa stretta, l'Italia abbandona il ruolo di apripista europeo nella filiera della canapa, lasciando spazio a incertezze normative e a un futuro incerto per migliaia di imprese... e di lavoratori!