Da alcuni giorni stiamo assistendo al macabro scenario già visto in precedenza. Lo spettacolo horror è la moria dei pesci, il palcoscenico, le rive del Tevere. Centinaia di pesci galleggiano privi di vita nel tratto urbano del fiume, per la felicità della moltitudine di gabbiani che si nutrono senza la minima fatica. L’odore che risale dalle banchine è nauseabondo ed inequivocabile, la vista, se possibile, anche peggio. Le carcasse di pesci di varie specie, sono trasportate dalle correnti e si arenano tra la folta vegetazione o tra i rifiuti più disparati.
Già alla fine di maggio c’era stata un’ecatombe e in quel caso dalle analisi commissionate dall’Arpa è emersa la presenza di sostanze tossiche anche se in quantità insufficienti a giustificare una simile catastrofe. Si tratta della Cipermetrina, un insetticida universale e del Clothianidin, utilizzato per la concia delle sementi di mais, del cotone, della colza, della bietola e del girasole. Quest’ultimo è altamente tossico per le api, motivo per il quale ne è stato vietato l’utilizzo a partire dal 2018.
Quantità minime di tali sostanze sommate alla presenza di batteri fecali, plastica e chissà cos’altro sono alla base della devastazione ambientale a cui stiamo assistendo. La causa principale è sempre legata ad un utilizzo improprio che l’uomo fa della Terra e di tutto ciò che lo circonda, il suo modo di agire prima o poi gli si ritorcerà contro.
Eppure la storia mista a leggenda ci narra che Enea risalendo dalla foce del Tevere, raggiungerà un luogo abitato da pastori e proprio lì sarà fondata Roma. L'acqua, infatti, non era soltanto potabile, ma anche ricca di pesci di ogni genere, fluviali e marini: cefali, anguille, spigole, solo per citarne alcune.
Il biondo Tevere non esiste più, l’appellativo fu dato dai poeti perché le acque si mischiavano alla sabbia e diventavano flavae. Il Tevere, fin dalla nascita di Roma, è stato l’anima della città e il fatto che gli debba la propria stessa esistenza è descritto già dalla prima scena della leggenda di fondazione, con Romolo e Remo nella cesta. “Non senza motivo gli Dei e gli uomini scelsero questo luogo per fondare la città”, scriveva Livio elogiando la posizione ed esaltando implicitamente l’importanza del fiume per la dominatrice del mondo.
Passeggiando lungo le rive del fiume, tra la vegetazione e il lento scorrere delle acque, lontano dal rumoroso traffico, sembra di stare in un luogo paradisiaco. Basta guardare l’orrido spettacolo e sentire l’odore di morte che ci offrono le acque del Tevere per ritornare immediatamente alla realtà. Bisogna assolutamente fare qualcosa. Non è questo il modo di trattare il fiume sacro.
Foto scattata il 7 luglio nel tratto tra Ponte Milvio e Ponte della Musica