Testimoniare, però, un amore «senza piacere né passione non è sufficiente a simboleggiare l’unione del cuore umano con Dio» (AL n. 142). Notiamo che «la maturità giunge in una famiglia quando la vita emotiva dei suoi membri si trasforma in una sensibilità che non domina, né oscura le grandi opzioni e i valori, ma che asseconda la loro libertà, sorge da essa, la arricchisce, la abbellisce e la rende più armoniosa per il bene di tutti» (AL n. 146). A riguardo del rapporto uomo-donna possiamo aggiungere ancora che comunque «c’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali» (AL n. 139), perché oggi, purtroppo, «l’uomo e la donna sono minacciati dall’insaziabilità» (AL n. 155). In tutto ciò c’è un dinamismo profondo nell’amore, che si arricchisce e modifica secondo le stagioni della vita e che si apre alla fecondità. Essa è «il dono e il potere di dare vita, di far crescere  e condurre a maturità e pienezza, in una prospettiva senza confini, che chiama a generare figli di Dio».[1] Sicuramente il dono del figlio è una partecipazione al mistero della creazione che scatena i sogni migliori. La positività dell’emancipazione femminile deve fare i conti con la sua genialità propria, mentre va affermato oggi il rilievo della paternità, infatti, il Papa ne dà la conferma dicendo: «il problema dei nostri giorni non sembra essere più tanto la presenza invadente dei padri, quanto piuttosto la loro assenza, la loro latitanza» (AL n. 176). Solo con la presenza del padre e della madre, la famiglia si potrà aprire alla sua responsabilità sociale e ai legami intergenerazionali.

Sul piano della pastorale, invece, l’invito centrale di papa Francesco è quello di trasmettere la gioia che riempie il cuore e la vita del Vangelo della famiglia, con l’imperativo di discernere e accompagnare il cammino dei fidanzati e degli sposi. Secondo il Papa ogni «cristiano è un uomo e una donna di gioia».[2] La gioia del cristiano, però, non è l’allegria che viene da motivi congiunturali, ma è sempre un dono del Signore che riempie il cuore dentro. Per questo tutti i coniugi cristiani dovrebbero essere i testimoni di questa gioia, quella vera però, che può dare soltanto Gesù Cristo. Basterebbe meditare sull’atteggiamento gioioso dei discepoli, tra l’Ascensione e la Pentecoste, per capire il dono della vera gioia.[3] La domanda è: “come il marito e la moglie possono sperimentare la gioia nella loro vita cristiana e coniugale?”. La risposta è: “anche i coniugi cristiani possono attraversare periodi di tristezza e di depressione”. Ora, possiamo trarre alcuni esempi di ciò nella Sacra Scrittura.

Infatti, a mo’ d’esempio, va ricordato Giobbe che ha desiderato di non essere mai nato (cf. Gb 3,11). Un altro esempio significativo è Davide che ha pregato di essere portato via in un posto, dove non avrebbe dovuto fare i conti con la realtà (cf. Sal 55,6-8). Un altro ancora è Elia che, pur avendo sconfitto quattrocentocinquanta profeti di Baal facendo scendere il fuoco dal cielo (cf. 1 Re 18,16-46), fuggì nel deserto e chiese a Dio di prendere la sua vita (cf. 1 Re 19,3-5). Come dunque i coniugi possono affrontare questi periodi nei quali non c’è gioia? Notiamo che i personaggi appena menzionati hanno superato questi episodi di depressione in vari modi.

Secondo Giobbe se si prega e si ricordano le benedizioni di Dio, Egli ridonerà la gioia e la giustizia (cf. Gb 33,26). Secondo Davide invece, lo studio della Parola di Dio dona la gioia (cf. Sal 19,8), e poi, si rese conto che aveva bisogno di lodare Dio anche nella disperazione (cf. Sal 42,5). Nel caso di Elia, Dio lo lasciò riposare per un breve tempo e dopo mandò Eliseo ad aiutarlo (cf. 1 Re 19,19-21). Per questo i coniugi cristiani hanno bisogno di altri coniugi amici, che possano condividere i loro dolori e le loro sofferenze. La condivisione amichevole diventa una risorsa efficace per affrontare i periodi privi di gioia e serve di aiuto ai coniugi per poter scoprire che anche altri, come loro, hanno lottato contro le stesse difficoltà.

La cosa fondamentale è capire che, se i coniugi pensano continuamente a loro stessi, ai loro problemi, ai loro dolori ed in particolare al loro passato, non possederanno mai la vera gioia del Signore. Indubbiamente la vera gioia non si trova nel materialismo, né nei piaceri della carne, né nei falsi dei, né nell’autoreferenzialità ecc. ecc., e certamente non si trova nell’essere ossessionati da sé stessi. Essa si trova, invece, come già abbiamo ribadito sopra, solo in Cristo. Infatti solo nella persona di Cristo la coppia dei coniugi troverà la vera fonte di gioia, di sapienza, di forza, di ricchezza e di misericordia. Se il marito e la moglie dimorano in Lui, se si immergono nella Parola dello Sposo e cercano di conoscerlo in modo più intimo, allora la loro «gioia sarà piena» (Gv 15,1-11).

Teniamo presente che, grazie all’azione dello Spirito Santo, i coniugi possono trovare la gioia autentica e profonda (cf. Sal 51,11-12; Gal 5,22; 1 Ts 1,6). Essi, però, non possono fare nulla senza la potenza di Dio (2 Cor 12,10; 13,4), anzi, più provano d’essere gioiosi attraverso i loro sforzi, più diventano miserabili.

Così, «per guarire le ferite del peccato, l’uomo e la donna hanno bisogno dell’aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto, l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati da principio» (CCC n. 1608). Bisogna dire che «nella sua misericordia, Dio non ha abbandonato l’uomo peccatore. Le sofferenze che derivano dal peccato, i dolori del parto, il lavoro “con il sudore del tuo volto” (Gn 3,19) costituiscono anche dei rimedi che attenuano i danni del peccato. Dopo la caduta, il matrimonio aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, “l’egoismo”, la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi all’altro, all’aiuto vicendevole, al dono di sé». (CCC n. 1609).

Per questo motivo lo Spirito Santo continua ad “uscire fuori” dalla Trinità nell’infinita misericordia verso l’umanità decaduta, donandole l’amore compassionevole, la felicità, la perfezione e la gioia. Infatti, nel beato don Michele Sopoćko leggiamo:

 «L’infinita misericordia di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, verso l’uomo decaduto, è l’amore di Dio verso il genere umano in un significato più ampio, poiché non si tratta di un amore che si compiace nella perfezione, ma un amore compassionevole verso la miseria umana (...)».[4]

 Possiamo dire che la misericordia dello Spirito Santo permette ai coniugi di sperimentare o addirittura gustare un’intima beatitudine; perché solleva e allarga il cuore, dona la vera gioia e la speranza, suscita la felicità, la pace e la capacità di “essere misericordiosi”.[5] Ecco perché san Paolo afferma: «il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo (Rm 15,13)».

La misericordia di Dio, che la Chiesa cerca non solo di professare, ma anche di attuare nel mondo, va proclamata con gioia, diffondendo nella gioia «la misericordia di Dio che non solo perdona i peccati degli uomini, ma li aiuta anche nel cammino di conversione. Come una buona madre allontana le spine dal suo bambino per impedirgli di farsi male in luoghi pericolosi, così Dio toglie le spine da sotto i piedi per la conversione degli uomini e per farli vivere con Lui. Il Signore dimentica le loro iniquità per condurli alla gioia del cielo».[6] In altre parole, questo gioioso annuncio della misericordia  dovrebbe avvenire da famiglia a famiglia, tramite quello che papa Francesco durante il Sinodo sulla famiglia aveva chiamato il ministero “dei simili ai simili”. I vescovi nel Messaggio del Sinodo hanno definito questo atteggiamento come “servizio di reciproco aiuto tra persone che vivono lo stesso stato di vita, come una parte importante di tutto l’apostolato”[7].

Esattamente in questo senso devono essere promosse “le nuove forme della pastorale famigliare” per gli sposi e i loro figli. Andrebbe, inoltre, promossa e sviluppata una efficace spiritualità familiare, che a volte manca ancora di una sua specificità, derivante in qualche modo, direttamente, dall’esperienza di vita delle coppie e delle famiglie stesse, uno “specifico” che con la Dives in Misericordia di san Giovanni Paolo II può indubbiamente essere riscoperto. Occorre evitare, però, di ridurre la spiritualità familiare a qualcosa di idealistico e astratto. La spiritualità familiare non è qualcosa di giustapposto al matrimonio: è l’effetto della grazia sacramentale di quest’ultimo. Essa dunque si nutre della vita quotidiana in famiglia, che acquista il suo più vero e profondo senso nel Signore - fonte vera di gioia e di grazia.[8]

Per questo, alla centralità delle parrocchie si potrebbe affiancare, oggi molto attuale ed efficace, il progetto del “Mistero grande” fondato e guidato da mons. Renzo Bonetti[9] insieme alle numerose coppie di sposi.[10] Tutto ciò è per «aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione» (AL n. 232). Oggi la pastorale familiare ha il compito di affrontare alcune sfide nello stile misericordioso, sereno e gioioso, soprattutto per casi difficili o sfidanti, come i matrimoni interconfessionali, interreligiosi, monoparentali, impostando da subito l’atteggiamento positivo della comunione, dell’accompagnamento, del discernimento, della comprensione.[11]

 sac. dott. Gregorio Lydek - ks. prof. dr Grzegorz Lydek



[1]R. Bonetti, Il prete: uno sposo, op. cit., p. 68.

[2]Jorge Mario Bergoglio, Omelie del mattino nella Cappella Domus Sanctae Marthae, vol. 1, LEV, Città del Vaticano 2016, p. 111.
[3]Cf. Ibid.
[4]M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. I, KMB, Białystok 2008, p. 205.
[5]Cf. G. Lydek, La misericordia di Dio, op. cit. p. 140.
[6]Ibid., p. 130.
[7]Cf. L. Baldisseri (ed.), La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, LEV, Città del Vaticano 2016, p. 201.
[8]Cf. G. Charles, L’Amore misericordioso nelle relazioni famigliari, in “A.C.I”, Collevalenza 28 Novembre 1981, pp. 34-35.  
[9]Mons. Renzo Bonetti è oggi Presidente della Fondazione Famiglia Dono Grande, avendo voluto dedicare tutto il suo tempo al progetto Mistero Grande. Dal 1995 al 2002 è stato Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana. Dal 2003 al 2009 è stato Consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia. In questo periodo, tra le altre attività, ha promosso il Master biennale in “Scienze del Matrimonio e della Famiglia” in collaborazione con il Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”, le Settimane estive di Formazione e le Settimane Nazionali di studi sulla spiritualità coniugale e familiare. Dal 2001 al 2006 ha coordinato il Progetto Parrocchia - Famiglia della CEI, un “laboratorio di ricerca” avente lo scopo di individuare nuovi percorsi di partecipazione della famiglia alla vita della parrocchia. Da questo progetto sono nate, in diverse diocesi italiane, le esperienze pastorali delle Comunità Familiari di Evangelizzazione (CFE) diffuse in circa 25 diocesi in Italia e altre diocesi della Romania e degli Stati Uniti. Dal 2002 al 2012 è stato parroco di Bovolone nella diocesi di Verona. Dal 2010 è Presidente della Fondazione “Famiglia Dono Grande”, il cui fine ultimo è quello di far conoscere e far vivere la Famiglia, il Dono Grande per il futuro dei nostri figli e delle future generazioni, sostenendo chi ne soffre la mancanza o l’incompiutezza e sollecitando chi la vive a mettersi a servizio degli altri. Nel 2015 è stato nominato membro del comitato scientifico della fondazione vaticana Centro Internazionale Famiglia di Nazareth: http://www.misterogrande.org/don-renzo/
[10]Vedi: www.misterogrande.org
[11]Cf. G. Charles, L’Amore misericordioso nelle relazioni famigliari, op. cit., p. 36.