«Ho appreso con dolore la notizia del drammatico naufragio, avvenuto nei giorni scorsi nelle acque del Mediterraneo, in cui hanno perso la vita decine di migranti, tra cui donne e bambini.Rinnovo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con prontezza e decisione, per evitare il ripetersi di simili tragedie e garantire la sicurezza e la dignità di tutti.Vi invito a pregare insieme a me per le vittime e per le loro famiglie. E anche domandare col cuore: "Padre, perché?"»


Quello a cui si è riferito il Papa dopo la preghiera dell'Angelus di questa ultima domenica di luglio, è il naufragio più grave degli ultimi due anni ed è avvenuto giovedì scorso al largo di Khoms, un centinaio di chilometri ad est di Tripoli.

Due barconi, stracolmi di persone si sono rovesciati. 137 persone sono state salvate, le altre - il loro numero non è stato definito ufficialmente, ma si teme sia intorno alle 150 - sono annegate. Molte di loro erano donne e bambini. Finora, i corpi recuperati sono stati 66.

Che cosa ha fatto la comunità internazionale dopo quella tragedia? Ovviamente nulla. In compenso, l'Italia, in violazione delle proprie leggi, ha permesso al proprio ministro dell'Interno di sequestrare una nave militare del nostro Paese, il suo equipaggio e i 135 migranti ospitati a bordo dopo che erano stati avvistati e soccorsi da un peschereccio italiano.

Il ministro dell'Interno è lo stesso singolare personaggio che agita vangeli e rosari, guardando il cielo appellandosi a madonne e santi, mentre sui social istiga all'odio razziale ed etichetta le navi delle Ong come strumenti di supporto all'attività dei trafficanti, quello che tecnicamente viene definito "pull factor".

Il problema, però è che i due barconi affondati a Khoms sono partiti quando non vi era alcuna nave nel Mediterraneo centrale appartenente ad Ong e disponibile per attività SAR. Per questo, il ministro dell'Interno italiano si è ben guardato dal commentare quanto avvenuto.