L’Unione Europea ha intrapreso un percorso ambizioso verso la neutralità climatica entro il 2050, con tappe intermedie come la riduzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030. La mobilità sostenibile è un pilastro di questa strategia: il settore automobilistico, responsabile di una quota significativa delle emissioni, è stato individuato come un punto cruciale per accelerare la transizione. Tuttavia, l’impatto economico e sociale di queste politiche è materia di dibattito, tant’è che la spinta verso l’elettrificazione ha creato enormi pressioni sulle case automobilistiche europee, che si trovano a fronteggiare una transizione tecnologica complessa e costosa. Sull’argomento abbiamo voluto sentire il parere di Gregorio Scribano social manager ed esperto in comunicazione.
Dottor Scribano, la questione ambientale e la transizione verso una mobilità sostenibile sono oggi al centro del dibattito pubblico. Cosa pensa dell’accelerazione imposta dall’Unione Europea verso il green?
È una sfida necessaria e urgente. La crisi climatica non aspetta, e l’Europa ha cercato di posizionarsi come leader mondiale nella transizione verde. Tuttavia, la velocità e la radicalità con cui si stanno attuando alcune politiche rischiano di creare problemi più grandi di quelli che si vogliono risolvere. Ad esempio, penalizzare eccessivamente le fasce meno abbienti senza fornire adeguati strumenti di supporto può portare a un disallineamento tra obiettivi politici e realtà sociale.
Ritiene che sarebbe stato meglio un passaggio graduale verso la mobilità sostenibile?
Assolutamente sì. Un passaggio graduale avrebbe permesso di creare un ponte tra le tecnologie attuali e quelle future. Penso che puntare prima sulle vetture a bassa emissione di CO2, incentivando anche il mercato dell’usato green, avrebbe avuto un impatto sociale ed economico più sostenibile. In questo modo, non solo si sarebbe offerta una soluzione più accessibile a molti cittadini, ma si sarebbe anche evitata la brusca svalutazione del mercato delle auto tradizionali, che ha penalizzato molti proprietari.
La riconversione industriale è una questione cruciale. Come giudica l’attuale approccio delle case automobilistiche europee?
Le case automobilistiche europee sono state messe sotto pressione per adattarsi rapidamente, ma non tutte hanno le risorse o la flessibilità per farlo. La riconversione industriale richiede tempo e investimenti significativi. Molte aziende stanno facendo il possibile per innovare, ma senza un coordinamento strategico e senza un’adeguata protezione da parte della UE, rischiamo di consegnare il mercato dell’elettrico – e in parte anche quello dell’ibrido – alla Cina, che oggi domina la produzione di batterie e tecnologie green.
Come si potrebbe incentivare una mobilità sostenibile senza “ammazzare” il mercato dell’usato?
Bisognerebbe incentivare la rigenerazione delle auto usate con motorizzazioni meno inquinanti, come i retrofit elettrici o ibridi, che stanno iniziando a prendere piede. Bisognerebbe creare infrastrutture adeguate, come stazioni di ricarica accessibili e ben distribuite per sostenere il passaggio al full electric. Inoltre, sarebbe fondamentale sviluppare politiche che rendano accessibili i veicoli a basse emissioni attraverso agevolazioni fiscali e finanziamenti mirati. È importante non creare una polarizzazione tra chi può permettersi un’auto elettrica nuova e chi resta bloccato con mezzi obsoleti.
In sintesi, qual è il messaggio che vorrebbe dare ai decisori politici?
La transizione green è un obiettivo imprescindibile per la UE, ma sta creando una profonda crisi nel settore automotive europeo. L’accelerazione verso l’elettrico, senza un passaggio intermedio su tecnologie ibride o a basse emissioni, rischia di penalizzare i meno abbienti, svalutare il mercato dell’usato e aumentare la dipendenza dalla Cina, leader nella produzione di batterie. La frammentazione delle politiche industriali tra Stati membri aggrava la situazione, limitando la competitività delle case automobilistiche europee e creando disparità sociali.
Serve una strategia comune che protegga l’industria, promuova il retrofit, incentivi le tecnologie green locali e garantisca una transizione più graduale per evitare crisi occupazionali e sociali. La transizione green è fondamentale, ma deve essere inclusiva e strategica. Servono politiche che tengano conto delle esigenze economiche e sociali, che supportino la riconversione industriale europea e che proteggano le fasce più deboli. Solo così la sostenibilità può essere davvero democratica.
In sintesi, la sfida della transizione green non è solo tecnologica, ma profondamente politica e sociale. Senza un piano strategico e inclusivo, il rischio è che i costi della transizione superino i benefici, con ricadute su occupazione, industria e coesione sociale.