Prima di autodenunciarsi, cosa che ha fatto nel pomeriggio presso la caserma dei Carabinieri di Milano, Marco Cappato, dell'Associazione Luca Coscioni, aveva anticipato le sue finalità questa mattina in una intervista radiofonica rilasciata nella trasmissione Mix24 su Radio 24 condotta da Giovanni Minoli.
«Io vorrei poter difendere in un processo le ragioni di principi costituzionali, di libertà, di responsabilità, superiori a un codice penale che non fa nemmeno distinzione tra il suicidio per un momento di disperazione e l'aiuto a un malato nelle condizioni di Fabo. Lo stato si deve assumere le sue responsabilità.
In Italia l’istigazione o l’aiuto al suicidio è punito da 5 a 12 anni di carcere, qui non c’è alcun tipo di istigazione semmai un tentativo di frenare. L’aiuto sì, perché io sabato mattina ho caricato Fabo sulla sua macchina con la sua carrozzella per 5 ore di un viaggio straziante. E quindi ho fornito questo aiuto, a questo punto voglio chiedere allo stato italiano di scegliere o fare finta di niente e girare la testa dall’altra parte oppure incriminarmi.»
Riguardo alle ultime ore prima del suicidio, Cappato ha detto che «Fabiano non ha mai avuto ripensamenti e si mostrava infastidito al richiamo che gli facevamo di tornare indietro. Il suo unico terrore era quello di non riuscirci, perché totalmente paralizzato e dovendo azionare il pulsante con il movimento della bocca era la sua unica paura.
Quando ha visto che ce la faceva si è rilassato e ha cominciato a scherzare e ha raccomandato agli amici di mettersi la cintura quando vanno in macchina.»
Nella stessa trasmissione, è intervenuto l’Arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della pontificia Accademia della vita, che sul suicidio del dj Fabo si è espresso in questi termini: «Nessuno ci impedisce ovviamente di toglierci la vita, se vogliamo. Chiedere che lo facciano altri in tuo luogo è un altro discorso. Concepire la libertà di se stessi in maniera assoluta rischia di essere una pericolosa deriva perché anche altri hanno avuto la libertà e il libero arbitrio di fare stragi e di creare conflitti.
Noi rischiamo di affidare ad una legge, fredda, in poche righe, situazioni diversissime che comunque richiedono una responsabilità degli amici, del medico, dei familiari, di tutti. Io mi augurerei che in Italia si facesse un dibattito molto più ampio su queste questioni e non solamente in momenti particolari che la cronaca suscita.»