Ispirato al libro autobiografico Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane Vera Felscherinow (nota con lo pseudonimo di Christiane F.), un film del 1981 che ha segnato sogni e incubi adolescenziali della mia generazione.

Di recente ritornato d’attualità nella serie su Prime del 2021 di Oliver Berben, Annette Hess, Sophie Von Uslar.

Vorrei raccontarvi questo film stupendo, quello del 1981, legandolo alla mia personale esperienza vissuta proprio in quegli anni. E perché, alla luce di fatti di cronaca moderna, si continua a inscenare il perenne dibattito se fossero migliori i giovani di oggi o quelli di ieri.


Il film, infatti, uscì nel 1981, avevo 15 anni, e i protagonisti più o meno tra i 15 e i 18. Tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’80, l’eroina faceva strage nella società, specie tra i giovani. Allora, capitava spesso di non veder più arrivare uno dei tuoi compagni di scuola, uno che incrociavi tutte le mattine alla campanella di entrata, e magari chiedevi ad un altro compagno:

Ma che fine ha fatto quel tizio con il gilet nero, sai quello che veniva a scuola con il Ciao giallo?

Per venire a sapere poi, tramite affissione nella bacheca, avviso in classe del Preside o dall’insegnante (se era un tuo compagno di classe) o peggio, su qualche notiziario della sera e il giornale di mamma e papà (non esistevano telefoni cellulari e internet naturalmente), che fosse stato trovato morto in casa, in qualche vicolo o in un cesso pubblico.

Capitava così spesso che, in uno dei miei diari dell’epoca, c’è ancora una vecchia foto ritagliata dalla pagina cronaca nera di un giornale, che riportava il fatto di una ragazza della mia età, trovata morta di overdose in un vicolo di Milano. Non era della mia scuola e non la conoscevo, ma sentivo che potesse essere il simbolo di tutti i compagni che morivano così e avrò sentito il bisogno di conservare quel senso di angoscia in un diario. Ancora adesso, quando riguardo quel diario, mi si stringe il cuore rivedendo l’articolo di quella bellissima ragazza della foto, dagli occhi dolci e dai capelli mossi.

Chi diventava tossicodipendente all’eroina, si sganciava gradualmente dalla società per iniziare una lunga e inesorabile discesa agli inferi nel regno degli zombie costituito dai malati cronici in cerca di una dosa di eroina quotidiana. Nel film, la protagonista inizia con LSD, poi passa all’inalazione di eroina per poi scivolare senza quasi accorgersene, alla tossicodipendenza endovenosa da eroina. Si ritrovavano ai margini, per una sorta di solidarietà suicida di gruppo, nei parchi, nei sottoscala delle stazioni o nei locali notturni (nel film la discoteca Sound). A differenza di altre droghe sintetiche o della cocaina – che allora era la droga dei ricconi – l’eroina non permetteva la conduzione di una vita normale.

Poiché non era possibile saltare anche solo un’iniezione da siringa quotidiana, senza andare incontro ai terribili spasmi dell’astinenza, molti si prostituivano nei pressi della Stazione di Berlino addicente il Giardino Zoologico, Bahnhof Zoo (per questo il titolo i ragazzi dello zoo di Berlino), ragazzi o ragazze che fossero (e nel film lo si vede bene), perché era la via più facile per ottenere la mancia necessaria ad acquistare la dose. Vi rendete conto? un’intera generazione di tossicodipendenti dediti alla prostituzione (era il periodo antecedente alla comparsa dell’AIDS).

Vi era una specie di consunzione graduale del corpo e della mente. Anche dal punto di vista stigmatico l’eroina era devastante. A differenza delle droghe che si sniffavano o si assumevano in pasticche, che consentivano una vita apparentemente normale, con l’eroina ti ritrovavi in poco tempo con le braccia o le caviglie crivellate di buchi. Questo faceva si che, ad un certo punto, divenisse un lavoro non solo procurarsi la dosa ma trovare un lembo del proprio corpo dove le vene fossero ancora integre.

L’altra cosa che rendeva impossibile un reintegro sociale, era l’incontrollabilità dei sintomi da astinenza. A differenza, come già detto, di altre droghe, chi ne era affetto, sviluppava tutta una panoplia di manifestazioni sintomatiche: Si entrava in uno stato febbrile di sudorazione, con crampi allo stomaco e dolori ossei e con in più l’aggravante di una mente totalmente offuscata. Questo era il mondo della droga allora, e il regista Uli Edel ci introduce (o meglio dire ci catapulta con una pedata) in atmosfere e ambientazioni psichedeliche, cupe e allucinate, della Berlino del tempo. Fin dall’apertura del film, ti si appiccica addosso quel senso di ineluttabilità di qualcosa di tragico.

Uno spaccato straordinario della società di allora, fratturata nel precipizio tra un’apparente normalità e le catacombe dei morti viventi. Indimenticabile l’interprete di Cristiana F., Natja Brunckhorst, classe 1966, come me.

Contesto storico del film e parallelismi con l'oggi

“Sorrido” (tra virgolette perché non c’è nulla da ridere), quando sento gli analisti, gli opinionisti, gli psicologi e psichiatri televisivi parlare, riferendosi ai ventenni di oggi, di una generazione perduta, senza speranza, alienata dagli Smartphone, la cyber pornografia e video giochi da realtà virtuale, riempita di vuoto interiore. Oppure quando vedo i cinquantenni come me, che girano in macchina con una spianata di musica degli anni ’80 (e l’ho fatto anch’io) come se si trattasse di un’era leggendaria, anzi peggio, mitologica. Entrambe le categorie non ricordano, evidentemente, quanto fossero truci e violenti gli anni tra la fine degli anni ’70 e quella degli anni ’80.

Se oggi possiamo parlare di violenza giovanile nichilista (sintetizzato nel mantra: manca lo scopo, non ci sono risposte alle domande e tutti i valori vengono sovvertiti), a quei tempi si trattava di una violenza di classe, etnografica (ad esempio paninari contro dark e metallari, skin head contro Punk ecc..) e, la peggiore di tutte, ideologica, cioè quella politica.

Quanto al rapporto coi genitori, che oggi avrebbero perso qualsiasi autorità o autorevolezza, nel film essi le provano tutte, come oggi, chiudendo la protagonista in camera per giorni, ma alla fine, sono totalmente impotenti, come sempre.

All’interno delle scuole, se avete frequentato le scuole statali periferiche in quegli anni, non passava un solo giorno senza che ci fossero pestaggi politici e scioperi degli studenti. Lotta continua, Azione Cattolica, Democrazia proletaria, Movimento sociale ecc.. Si scannavano quotidianamente. Non dimentichiamoci che erano anche gli anni delle Brigate Rosse. Cosa mai può cambiare, per uno che viene pestato a sangue, sapere che ciò è accaduto per nobili motivi ideologici o per la violenza senza origine e scopo come oggi? Assolutamente niente! A me è successo ad una fermata dell’autobus. Allora vestivo da tamarro di periferia (sapete capelli lunghi, magliette con maniche tagliate, converse e Jeans neri, porpora o verde elettrico). Un gruppo di skin head, mi individua e in un lampo mi piomba addosso dandomi del terrone di merda. Anche questo erano gli anni ’80.

Mentre viceversa oggi, non è solo nichilismo. Ci sono ragazze ventenni che fanno documentari sui problemi dei sentimenti legati alla sessualità distorta nei loro coetanei maschi (il gruppo di Making (of) love). E capita che queste stesse ragazze, in non è l’arena, siano costrette, nella costernazione generale, a dare lezioni di vocabolario sentimentale e sessuale ad un giornalista cinquantenne, in evidente stato confusionale, incapace di fare la distinzione tra il gioco sessuale e la costrizione (per usare un decoroso eufemismo).

E che dire oggi delle giovani nuotatrici che collezionano medaglie d’oro in questi giorni? Eppure sono figlie di quest'epoca. Come amo ripetere sempre “Niente e ciò che sembra”, esclamato da Al Pacino in un celebre film.

In tutte le epoche il meglio e il peggio dei giovani era il semplice condensato della società del momento e dei problemi contemporanei che la riguardavano. Temo che, per trovare una generazione al riparo dell'incancrenimento sociale, occorra risalire a quella dell'immediato dopo guerra, e dico forse.

Un cult movie comunque da vedere, da giovani o meno giovani.