Per molti di quelli che hanno vissuto il ventennio berlusconiano, travasato poi nel decennio successivo, negli anni più prolifici della vita di un uomo (nel mio caso, grossomodo dai 25 ai 45), ieri è probabilmente apparsa come una giornata surreale, perché ad un funerale anticipato all’atto stesso di traslazione di una salma, si è aggiunto anche quello della decenza. È stato uno spettacolo reso squallido:
in primo luogo da coloro, la cerchia mediocre di cui il Cavaliere spesso si è voluto circondare, che totalmente avulsa dalla grammatica della morale e del suo rapporto con la parola, ha visto come un atto di disumanità il ribadire a voce alta, e con coerenza rispetto a quanto sostenuto quando la persona era in vita, che si poteva non avere nessun rimpianto, né per l’uomo, né per il politico. Comunque costoro, i mediocri che hanno fatto le barricate attorno a Berlusconi per puro servilismo economico, danneggiandolo ulteriormente credendo di fargli un monumento, costoro dicevo, hanno perso l’occasione di stare zitti, almeno il giorno del loro servile lutto. Ieri e oggi, invece, attraverso i loro giornali, hanno trasformato la menzogna quotidiana di indebiti avvocati della famiglia Berlusconi in quella di un pietoso coro prosopopeico del compianto. Il loro padrone fa loro paura più da morto che da vivo, verrebbe da dire.
Molti di noi avranno provato compassione (ed io tra questi) per la morte di quest’uomo come atto universale e irreversibile, misterioso e doloroso, che deve interrogarci tutti perché ci riguarderà tutti. A molti di noi nostra sora morte, ha fatto già più di una visita tra amici e parenti, addossandoci ogni volta una “piccola” dose di lutto in più. Compassione, un sentimento di natura trascendente, ontologicamente scevro dai condizionamenti immanenti (o almeno dovrebbe) che governano i sentimenti, ma soprattutto le emozioni (queste ultime cause di quasi tutti i disastri umani per filosofi come Epicuro). Trascendente perché nessuno di noi sa da dove arrivi la compassione e di quale sostanza sia fatta. L’unico elemento in grado di renderla concretamente e parzialmente palpabile sono fatti terreni e quotidiani come la scomparsa di un uomo verso l'irreversibile. E questo, anche quando quest’uomo è stato quanto ci potesse essere di più lontano dalle mie idee del mondo e dell'uomo. Quanto al rimpianto, invece, è quasi impossibile provarlo per un uomo che ha significato la definitiva metamorfosi culturale e sociale in di un’intera nazione, in peggio.
In secondo luogo, c’è stato l'ossequio (con poche eccezioni) nei confronti del cavaliere Berlusconi da una parte consistente del mondo giornalistico e politico che fino al giorno prima lo attaccava come antimateria della costituzione repubblicana e della moralità pubblica. Tutti liberi di esprimere il proprio sentimento, quindi? Assolutamente sì, al netto dell'arteriosclerosi, ma ci sono casi in cui sarebbe stato più opportuno un decoroso silenzio.
In terzo luogo, l’atteggiamento venuto da alte cariche istituzionali dello Stato e della Chiesa. Sentire dire, ad esempio da Mattarella, il giorno stesso della dipartita di Berlusconi, di come egli abbia segnato la storia della Repubblica in un’accezione del tutto neutrale, ha eluso la responsabilità di dovergli appendere alcuni scontrini della storia, con la conseguenza ulteriore di gettare implicitamente la “palla neutrale” nel campo degli italiani e lasciare a loro il compito di districarla nella polarizzazione esacerbata da anni. Certo, a livello istituzionale il Presidente aveva forse scelta? Credo che, come Presidente della Repubblica, non potesse scegliere tra lo stare zitto ed esprimersi istituzionalmente (e lo ha fatto comunque in buona fede data la sua levatura morale), ma poteva scegliere il piano su cui esprimersi riguardo all’appena scomparso Berlusconi. il Presidente Mattarella (per il quale tutti, o quasi, noi nutriamo un enorme rispetto umano e istituzionale), fratello di quel Piersanti ucciso dalla stessa mafia accusata poi di sospetta prossimità con certi ambienti dell’alta imprenditoria lombarda, avrebbe dovuto indurlo ad espressioni più vicine all’intimo e umano sentimento di fronte alla morte dell’uomo che agli encomi da statista. Del resto, il suo imbarazzo e la sua solitudine sono apparse evidenti durante la funzione funebre. Gli alti riconoscimenti istituzionali, specie per un Berlusconi divisivo, antesignano della fusione populista tra pubblico e privato (con tutte le conseguenze che conosciamo), non possono giungere in maniera così impulsiva, perché richiedono tempo ed elaborazione prima che la storia possa apporvi il suo postumo sigillo. Ammesso che fosse persino giusto, dunque, perché questa fretta nell’indire il funerale di Stato, e il lutto nazionale, quest'ultimo è sembrato bell’e buono imposto dalla maggioranza di governo? Tutto è sembrato, se non è stato fatto apposta, un atto di imperdonabile ingenuità in grado di scatenare scontri e divisioni in un popolo politicamente ormai bipolare, oltre che psichiatricamente. Anche Papa Francesco è uscito con un diplomatico “un uomo energico!” che significa tutto e nulla e sembra essere il classico aggettivo tappa buchi pronunciato per mettere d’accordo tutti su un uomo su cui non si è d’accordo su nulla. Ma come Papa, avrà avuto i suoi buoni motivi, come quello di non lacerare ulteriormente le diverse anime del cattolicesimo sul bordo di una guerra civile sui principi etico religiosi e polverizzate nella politica e nella società.
Anche l'assenza di leader stranieri ha reso brutalmente l'idea che all'estero si erano fatti del politico Berlusconi. E anche questo, per un funerale di Stato, è stato surreale.
C'è stato, poi, lo scontro fulmineo letteralmente qualche minuto dopo la morte del cavaliere. Uno scontro tra i sostenitori del funerale di stato e i suoi contrari prima e tra i sostenitori della giornata di lutto nazionale e i contrari poi. È un popolo, il nostro, talmente spaccato, così rabbiosamente spaccato, da riuscire nell’impresa catadiottrica di individuare senza esitazioni etimologiche e filosofiche, la frontiera tra il lutto nazionale e il funerale di stato.
Il funerale, che pur spetta a chi ha rivestito alte cariche istituzionali come l’ex Presidente del Consiglio, ha innescato comunque la sua dose di polemica tra coloro che lo ritenevano giusto e coloro che lo ritenevano inopportuno (Bindi). Ma che senso ha farne motivo di scontro e applicare i codici che hanno governato lo scontro immanente con Silvio Berlusconi con ciò che ormai riguarda solo il mistero del trascendente, nel giorno della trascendenza. Da progressista quale mi ritengo, e quindi qualcuno che ha avversato da sempre la destra conservatrice e populista, l’ho trovato comunque un atto inutile e infantile.
Per ciò che concerna l’indetta della giornata di lutto, è un’altra polemica inutile, tanto più che non lede la libertà di ciascuno di rispettarla o meno. Sposta forse di una virgola la battaglia che si farà già da domattina tra uno schieramento e l’altro, tra una visione del mondo e l’altra? Non sarebbe stato, sotterrare l'ascia di guerra per un attimo e consentire ad una parte del popolo che lo ha sostenuto e apprezzato (il cui fulcro si trova proprio nella città di Milano), vivere l'illusione nazionale del proprio personale sentimento di lutto. Io ritengo di sì. Poteva essere l’occasione per un processo di pacificazione delle parti intorno a questioni fondamentali comuni, senza dover rinunciare a combattere il giorno dopo per i propri principi. In questo senso, ho apprezzato molto il gesto di Elly Schlein, che con una sola presenza ha voluto derimere la controversia sia sul lutto che sui funerali di stato. Molti membri del suo partito non sono stati altrettanti umili e coraggiosi. Ho apprezzato molto meno l’atteggiamento di Conte che mi è sembrato prigioniero di una specie di rappresaglia personale nei confronti di una persona che non era già più e che non tenuto alcuna arma con sé nel feretro.