Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ribadito la sua posizione intransigente sui dazi alle auto prodotte all'estero, dichiarando in un'intervista alla NBC News di non aver esortato i leader dell'industria automobilistica a evitare aumenti dei prezzi nonostante le nuove tariffe in arrivo.
Anzi, ha affermato che non gliene potrebbe fregare di meno se le aziende decideranno di trasferire i costi dei dazi sui consumatori, sostenendo che ciò potrà favorire le auto costruite in America.
Il 2 aprile la Casa Bianca introdurrà nuovi dazi su una serie di beni di consumo, inclusi i veicoli fabbricati all'estero, nell'ambito di una politica protezionistica indirizzata a ridurre il deficit commerciale incentivando la manifattura statunitense.
Durante l'intervista, il presidente ha spiegato che i dazi sulle auto importate mirano a rendere più competitive le fabbriche nazionali: "Spero che aumentino i prezzi [delle auto straniere], perché se lo faranno, la gente comprerebbe auto prodotte in America", ha dichiarato, esprimendo fiducia in un incremento delle vendite dei produttori domestici.
La decisione ha già sollevato reazioni negative da parte di molti leader in tutto il mondo, preoccupati per l'impatto sul commercio internazionale e sulle economie collegate. Analisti economici avvertono che i dazi potrebbero innescare ritorsioni, aggravando le tensioni commerciali, oltre a generare un aumento generalizzato dei prezzi per i consumatori americani. Tuttavia, Trump ha minimizzato questi timori, sostenendo che la priorità è riequilibrare gli scambi: "Negozierò sui dazi solo se altri Paesi offriranno qualcosa di grande valore in cambio".
I dazi rientrano in una strategia più ampia, iniziata con le tariffe su acciaio e alluminio nel 2018, per riportare posti di lavoro nel settore manifatturiero. Secondo Trump, penalizzare le importazioni è essenziale per proteggere l'industria nazionale, nonostante dati recenti mostrino che i precedenti dazi abbiano avuto effetti contrastanti, con alcuni settori danneggiati dai costi più elevati delle materie prime.
Mentre le aziende automobilistiche valutano se assorbire i costi o trasferirli ai clienti, l'amministrazione Trump sembra determinata ad andare avanti, puntando a un rilancio simbolico del "Made in USA". Tuttavia, il rischio di una guerra commerciale e l'aumento dell'inflazione potrebbero mettere a dura prova questa scelta.
Il prossimo mese farà capire se i dazi porteranno davvero a un ritorno della produzione in patria o se, invece, accelereranno una spirale di rincari e tensioni globali. Per ora, Trump mantiene la rotta, convinto che la leva protezionistica sia l'unica via per un'America "di nuovo dominante".
Intanto, la politica dei tagli che riguarda anche i programmi di sostegno e aiuto allo sviluppo economico all'interno degli Stati Uniti, sta già avendo un immediato riscontro tra i piccoli agricoltori che avevano organizzato le loro produzioni per rifornire le comunità locali (scuole, banche alimentari, ecc.) che facevano affidamento anche, se non in gran parte, sui finanziamenti pubblici.
L'aspetto paradossale è che ad esserne danneggiati sono proprio gli "hillbillies" di JD Vance che hanno votato in massa per Donald Trump!
Nella stessa intervista, il presidente degli Stati Uniti, oltre a ribadire la sua fiducia al consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz, finito nella bufera per il caso Houthi, ha parlato anche della volontà di annettere la Groenlandia, territorio danese semiautonomo:
"Otterremo la Groenlandia. Sì, al 100%... esiste una buona possibilità che potremmo farcela senza ricorrere alla forza militare... ma non tolgo nulla dal tavolo".
Per Giorgia Meloni, Donald Trump, che con queste dichiarazioni non ha nulla che lo possa distinguere da Vladimir Putin o Kim Jong Un, è da considerarsi un alleato!