Conoscete ormai la nostra passione per la cinematografia, un tempo ossessiva, oggi utilizzata, speriamo gradevolmente, a titolo di metafora, di comparazione con la realtà, di allegoria perenne di una vita che insegue la finzione e ne è rincorsa.

Tuttavia riteniamo che tutto ciò che è in hit parade, anche quando si tratta di prodotti riusciti, tenda a oscurare una certa produzione minore, che tale è rimasta  per scelta,  per ricaduta, o perché rivolta a un pubblico “altro”, che ne può godere in particolari momenti.

Citiamo due solo esempi, entrambi targati USA, nell’infinita marea di cui quel mondo è pieno, in quanto le protagoniste sono donne. Uno è “Angel”, uscito nel 1984, storia di una studentessa  di giorno, prostituta di notte (interpretata da Donna Wilkes), nella infernale Los Angeles di quegli anni: un affresco della città underground che raramente abbiamo visto colto così, nel profondo, sventrato, svelato, nemmeno nella sfilata di big movie ad alto costo; purtroppo, quasi introvabile, ormai, se non per tenaci e inguaribili cinefili.

L’altro è “The good girl”, produzione indie del 2001,  bollata come esibizione pretenziosa e fané tipica del Sundance “puzza al naso”, con la scusa di sfruttare la divetta del momento Jennifer Aniston, affiancata da un Jake Gyllenhaal in rampa di lancio, assolto dai critici più severi perché nel suo periodo training. Noi non abbiamo ambizioni da emuli di Morandini e lo abbiamo apprezzato.

Cosa accomuna, nelle nostre povere intenzioni, le due storie? I personaggi femminili, ovviamente: un impasto di affetto frustrato, velleità di scalata, desiderio maniacale di rivalsa, rabbia e violenza più o meno espressa.

Tutto ciò potrebbe trovare la giusta sintesi in “Monster”, esplosivo dramma di vita vera, dove giganteggia Charlize Teron, nella parte della serial killer Aileen Wuornos, girato dopo l’esecuzione di quest’ultima, nel 2002. Aileen viene sempre raccontata attraverso un mix di condanna ( molta, visti i crimini) e benevolenza, poca, ma dovuta d’ufficio, viste le infernali condizioni in cui nacque e crebbe. La donna invocò l’attenuante delle violenze inflittele dagli uomini, attestate da chi l’aveva conosciuta durante le sue traversie, beneficio non concesso.

Viceversa, ampie giustificazioni vengono fornite alla seriale italiana Milena Quaglini (1957/2001), forse perché morta suicida in carcere. Va ricordato che Milena aveva scontato pene lievissime per i primi due omicidi e solo il terzo le varrà una vera detenzione, che infatti lei interromperà presto, impiccandosi in cella; tra le motivazioni atte a smorzare le sue responsabilità si citano gli abusi che lei asseriva di aver subito da un invalido ultraottantenne. 

Un caso a parte è quello di chi uccide nelle corsie d’ospedale, per cui Sonya Caleffi ( libera da due anni, dopo quattordici in detenzione sotto cura) può accomunarsi a tanti “colleghi” maschi.

La donna è il sesso debole? Un coro oggi si leverebbe a tale ingenua domanda: certo che no. Ma è più forte solo in positivo? I sentimenti tendono a tradirla più dell’uomo, che sembra mosso, negli atti violenti, piuttosto da un malcelato e persistente senso di onore e di autostima ferita?

Il pensiero va a un fenomeno emerso di recente, per il risalto a esso attribuito da “Chi l’ha visto?”, ovvero le cosiddette truffe romantiche, soprattutto ai danni di una platea femminile. I commenti si sono sprecati: di collera ed esecrazione verso i miserabili che giocano con la solitudine delle signore, ma non di rado di forte perplessità per la narrazione che ci arriva. E’ possibile che mature o attempate, di rado un po’ più giovani, talora non esattamente sole e abbandonate, siano arrivate al punto di sottrarre soldi alla famiglia, mollare mariti e figli, per correre dietro a qualcuno che, oltretutto, parlerebbe anche lingue diverse e difficilmente sarebbe in grado di arrivare al cuore dell’interlocutrice? A meno che non basti un “I love you” per fare breccia, e sembra poco per cavare alla malcapitata decine di migliaia di euro; ma se fosse, ci sarebbe di che indagare a fondo nella psiche di chi ci casca.

Vari programmi (e libri, ma la mediazione della lettura permette altre visuali) si occupano dei maltrattamenti nei confronti delle donne, accomunando, in verità, casi molto diversi. Il campione della categoria è “Amore criminale”, serie condotta all’inizio da Camilla Raznovich, seguita da Barbara De Rossi e, attualmente, Veronica Pivetti.

Non sono mancate aspre contestazioni sul tipo di proposizione offerta, anche se su presupposti ben diversi. Sotto accusa è la fiction costruita in base al canovaccio della biografia dell’assassinata di turno ( accantoniamo le testimonianze delle scampate). Secondo gli osservatori più ortodossi, si concede troppo credito all’uomo omicida, ritratto spesso quasi affranto per il gesto appena compiuto; secondo altri, e qui citiamo (riferito alla prima serie):

“Il programma riprende, per ogni puntata, la storia di una donna, uccisa dall'uomo che l'amava (sic!). Ricostruzioni fatte da attori, alternate a interviste ai familiari e agli amici della vittima…Il caso di stasera riguardava Jennifer Zacconi…uccisa il 29 aprile 2006 a Maerne di Martellago (VE) da Lucio Niero, l'uomo col quale aveva una relazione e del quale era rimasta incinta…Il tono del racconto è quello finto-obbiettivo…in realtà carico di pregiudizi. Camilla si chiede, per esempio, "che tipo di uomo sia" Lucio, l'assassino, "che aveva una moglie e due figli ma poi aveva instaurato una relazione con una ragazza molto più giovane di lui"…Camilla si chiede che razza di uomo sia Lucio perché è un adultero (la parola non viene usata ma il ludibrio evocato si aggira intorno a quei valori), perché frequenta una ragazza molto più giovane di lui… Lucio viene descritto prima come un violento cocainomane che ogni sera ci prova con una ragazza diversa e poi come un innamorato tenero che frequentava la famiglia di Jennifer come un genero (parole della madre della vittima…La ricostruzione è di fantasia perché descrive comportamenti e pensieri dell'assassino senza che ci sia un riscontro oggettivo con le sue dichiarazioni che sono comunque ben altra cosa rispetto sapere come sono andate davvero le cose” - Paesaniniland, 22 luglio 2008.

Dobbiamo dare atto a entrambi di aver evidenziato la debolezza (sostanziale), che diventa la forza (in termini di audience) della trasmissione. Le location sono suggestive; le musiche azzeccatissime ( questo è in generale un cavallo di battaglia della terza rete RAI); gli interpreti, anche se non di fama, se la cavano egregiamente (ne abbiamo riconosciuto solo uno, Alfredo Li Bassi, noto per la partecipazione a “Mery per sempre” e “ Ragazzi fuori”, qui naturalmente uxoricida); la presentatrice utilizza un tono accorato e, soprattutto le due che attrici sono, adoperando i giusti accenti drammaturgici; nella seconda serie, un attore introduceva il caso leggendo qualche battuta delle dichiarazioni processuali del killer. I parenti delle vittime, ovviamente, attirano la nostra solidarietà. Talvolta, di rado, si da voce anche ai legali della difesa, a nostro avviso senza motivo, se si limitano a brevi frasi tagliate in regia, senza nemmeno accennare a controbattere alle accuse.

Nondimeno anche l’acclamata “Francona” Leosini ci ha dato dentro, tra “Storie maledette” e “Ombre sul giallo”, tra un anacoluto e un’ellissi, una parentetica carpiata e un metaforone zoologico, insomma ricorrendo alla sua nota dipendenza da concione ciceroniana, che alla fine quasi distrae dal racconto vero e proprio ( ne ha fatto le spese soprattutto Sabrina Misseri, seguita a ruota dai fratelli Castagna).

Non è possibile ripercorrere tutte le cronache di donne scomparse di mala morte, pertanto ricorreremo a dolorosi tagli, per giunta senza un ordine cronologico, ma lungo il filo degli sprazzi di memoria; peraltro, ci dilungheremo ugualmente e chiediamo pazienza ai nostri cinque lettori.

Pensiamo a Nada Cella, per esempio, riservata ventiquattrenne di Chiavari, trovata orrendamente colpita nello studio del commercialista dove lavorava, nel 1996: delitto insoluto e violenza aggiuntiva, si perché: sparare titoli in prima pagina, dichiarandone l’illibatezza, valeva tanto quanto darle della poco di buono, ma la privacy allora non era in primo piano. E che dire della giovane Laura Bigoni, massacrata nella casa di vacanze a Clusone, nel 1993? L’omicidio è impunito dopo l’assoluzione del fidanzato a due piste ( era ufficialmente accasato anche con un'altra), con disappunto dei familiari.

Un certo Valerio Sperotto fu sospettato di aver fatto sparire entrambe le sue mogli, la prima madre delle due figlie, la seconda una rumena, facendole maciullare nella porcilaia. L’uomo è scomparso nel 2011, ma le indagini sono riprese nel 2017.

Non abbiamo ancora capito granché delle dinamiche della morte della sedicenne Noemi Durini, tre anni or sono, mentre ricordiamo la tenacia di “Quarto Grado” nel far riaprire il fascicolo della siciliana  Valentina Salamone, data per suicida nel 2010, poi ritenuta vittima di omicidio a opera dell’amante (sposato) con un complice ( mai trovato). Trasecoliamo per quanto accaduto a Jessica Faoro: ragazza madre diciottenne ( bimba data subito in adozione), genitori non pervenuti se non dopo la morte, a suon di decine di coltellate, in casa di un ambiguo figuro con moglie, presso cui la poveretta aveva cercato ospitalità e lavoro come stiratrice, nel 2018. Circa nello stesso periodo Janira D’Amato viene stesa dal suo ex che non avrebbe accettato l’abbandono, in quel di Pietra Ligure.

Lorena Radice è una ricca imprenditrice; secondo il marito, Nazareno Caporali ( che registrava le loro liti), rifiutava il sesso e lo aveva sposato per accontentare la famiglia che la voleva sposata, ma lo odiava; l’uomo si proclama innocente dell’omicidio della moglie, nel 2006, per cui è stato condannato e insiste sulla tesi del suicidio.

Barbara Cuppini, di padre italiano e madre somala che l’ha abbandonata da piccola, è una rampante manager della Ferrari, dove lavora anche il suo fidanzato ingegnere, il fiorentino, divorziato con una figlia, Alessandro Persico, che, nel 2011, in due mesi la fa innamorare, la porta a casa sua e la uccide praticamente nel sonno.

Francesco Alfonzetti, pugliese sposato e padre, fa addirittura il bis: amante di una donna e della di lei figlia, le uccide tutte e due in tempi diversi, con dinamiche che sgomentano, indagini comprese.

La lista è lunga, ma per la fattispecie “uomo che ammazza donna”, ci fermiamo. Perché ci chiediamo anche: si chiamerebbero femminicidi tutti i casi in cui soccombe la donna, o solo se a farlo è un uomo e per una relazione in crisi o finita? Peschiamo fra i molti, attingendo alle cronache ufficiali. 

Continua...