In un contesto politico sempre più polarizzato, Google si è trovata al centro del dibattito pubblico per una serie di decisioni che si allineano alle direttive dell'amministrazione Trump. Tra donazioni, revisioni delle policy interne e aggiornamenti controversi ai suoi prodotti, il colosso tecnologico sta affrontando accuse di assogettamento alle pressioni governative, sollevando interrogativi sul ruolo delle corporation tra etica e interessi politici.  

Google, con una donazione di 1 milione di dollari, è stata tra le aziende che hanno contribuito a finanziare la campagna di Donald Trump per le presidenziali 2024. Dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, l'azienda californiana ha ritirato le proprie politiche di assunzione focalizzate sulla diversità, in risposta alla "repressione" anti-DEI (Diversity, Equity, Inclusion) promossa dalla nuova amministrazione. Un'altra mossa significativa è stata l'abbandono dell'impegno a non utilizzare l'intelligenza artificiale per applicazioni militari o di sorveglianza, interpretato come un'apertura a collaborazioni più strette con l'esecutivo.  


Uno dei primi ordini esecutivi di Trump ha imposto il cambio di nome al Golfo del Messico, magicamente diventato adesso Golfo d'America, insieme al ritorno del monte Denali (Alaska) alla denominazione monte "McKinley". Google ha annunciato il 27 gennaio di aver aggiornato le mappe in base alle modifiche del database federale GNIS, applicate definitivamente il 10 febbraio. La scelta riflette una convenzione geografica contestata: gli utenti statunitensi, su Google Maps, vedranno così "Golfo d'America", quelli messicani invece il nome originale, mentre il resto del mondo visualizzerà entrambe le diciture. 


La rimozione di ricorrenze come il Pride Month (giugno), il Black History Month (febbraio) e altri eventi culturali dal calendario predefinito ha scatenato polemiche. Utenti e attivisti hanno accusato Google di compiacere l'agenda politica di Trump, con commenti indignati sui forum, di cui il seguente è esemplificativo: "Smettila di leccare il c... a Trump". L'azienda ha giustificato la decisione citando motivi di scalabilità, spiegando di aver iniziato a eliminare le date non ufficiali già nel 2024, sostituendole con quelle delle sole festività pubbliche, ricavate da fonti esterne come timeanddate.com. Tuttavia, molti critici rigettano questa versione, definendola una "bugia per placare il dittatore americano".  


All'inizio di febbraio, utenti e fact-checker di Snopes hanno notato che la Ricerca Google non propone più il completamento automatico per frasi come "impeach Trump". Un portavoce ha spiegato che le policy aziendali vietano suggerimenti percepibili come schieramenti politici, aggiungendo che termini simili (es. "impeach Biden" o "impeach Clinton") sono stati rimossi per coerenza. I risultati di ricerca non sarebbero stati alterati, ma la scelta ha alimentato sospetti di censura preventiva.  


Le scelte di Google sollevano domande cruciali sul rapporto tra Big Tech e potere politico. Se da un lato l'azienda insiste sulla neutralità e su motivazioni tecniche, dall'altro l'opinione pubblica vede un pericoloso adattamento a un'agenda autoritaria. La rimozione di simboli culturali, la ridenominazione geografica e il silenziamento di termini critici verso il governo potrebbero segnare un precedente pericoloso, in cui gli interessi corporate si intrecciano con quelli del potere. La sfida, ora, è capire dove finisca la compliance normativa e inizi l'erosione dei valori fondativi della società digitale... oltre che di quella reale.