Le elezioni politiche del 12 dicembre hanno fatto registrare una schiacciante vittoria del partito conservatore che ha ottenuto, da solo, la maggioranza dei seggi in Parlamento 364 (47 in più rispetto alle ultime elezioni). Al successo dei tories ha fatto da contraltare la sconfitta del Labour che si è fermato a 203 seggi, perdendone 59. I Liberal democratici, invece hanno conquistato 11 seggi, solo 1 in meno rispetto al voto delle precedenti politiche, ma è comunque un tracollo rispetto alle europee. Gli unionisti dell'Irlanda del Nord, rappresentati dal DUP hanno perso 2 seggi, conquistandone solo 8. 15 seggi sono andati a liste minori, di cui 6 allo Sinn Féin (Irlanda del Nord).

Le conseguenze politiche del voto? Jo Swinson, leader dei Lib Dem si è dimessa. Jeremy Corbyn ha dichiarato che non guiderà il Labour alle prossime elezioni. Sugli scudi Boris Johnson, leader dei conservatori, e Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party.

Come interpretare il voto nel Regno Unito?

Il voto del 12 dicembre è stato un nuovo referendum sulla Brexit.

In quei seggi in cui oltre il 60% degli elettori ha sostenuto il Leave nel referendum del 2016, l'aumento del sostegno al partito conservatore è stato in media del 6%. E sempre in relazione a quel referendum, il voto per il Labour è sceso in media di ben 11 punti nelle aree più favorevoli alla Brexit.

Il sostegno ai conservatori è aumentato di 4 punti nelle Midlands, nel Nord Est e nello Yorkshire, tutti collegi che, al tempo, hanno votato in maggioranza a favore del Leave. Al contrario, il voto ai Tories è diminuito di un punto a Londra e nel sud-est.

Il Labour, nelle elezioni del 12 dicembre, ha perso soprattutto nei collegi che tradizionalmente costituivano la sua base elettorale, abitati in maggioranza dalla classe operaia.


È possibile trovare una spiegazione logica a tutto ciò?

A dispetto di allucinati commentatori che hanno iniziato a dire che i socialisti hanno perso a causa del loro programma troppo radicale, la realtà è invece molto più semplice.

Boris Johnson e i suoi candidati hanno unicamente fatto campagna elettorale dicendo ai britannici che votando per i conservatori avrebbero votato per mettere in atto la Brexit, grazie alla quale i posti di lavoro per i cittadini sarebbero magicamente aumentati a partire dal giorno dopo. Niente più polacchi, rumeni o altri a "rubare" il lavoro ai britannici che, in tal modo, avrebbero visto  aumentare il loro benessere.

E per spiegarlo agli elettori, come è d'uso nel repertorio del buon populista, Boris Johnson è andato in giro per il Paese mascherandosi di volta in volta da macellaio, pescivendolo, allevatore, panettiere, muratore, allevatore... e così via.

A quella gente ha fatto credere che grazie a lui, figli, amici e parenti potranno trovare finalmente il lavoro perché la Gran Bretagna non sarà più nell'Unione europea.

I Liberal Democratici hanno puntato sul "remain" ed hanno perso. I socialisti hanno puntato su un nuovo referendum in modo che i britannici potessero decidere sulla Brexit "consapevolmente" rispetto alle falsità che sono state dette loro nel 2016, cercando anche di promuovere un programma di governo per favorire proprio la classe operaia... che invece non lo ha neppure letto! Ed anche loro hanno perso.


Quindi Johnson ha vinto?

Solo parzialmente, perché in Scozia il partito conservatore è stato "asfaltato" dall'SNP che ha fatto campagna elettorale basandosi su questo semplice messaggio: Noi non siamo per la Brexit e se vince Johnson noi faremo un nuovo referendum per lasciare la Gran Bretagna... il tutto riassunto nella formula "indyref2".

Pertanto, se già nei prossimi giorni Johnson farà votare e approvare il suo piano per la Brexit al Parlamento, allo stesso tempo l'SNP chiederà un nuovo referendum per far decidere gli scozzesi sull'indipendenza dal Regno Unito. Il precedente referendum vide gli scozzesi votare per il "remain", proprio perché per loro avrebbe significato anche lasciare l'Europa e ciò era stato ritenuto poco conveniente. Adesso, la situazione è completamente invertita e si può già immaginare quale potrà essere il risultato.

L'SNP chiederà di poter fare un nuovo referendum sull'indipendenza. Johnson lo negherà, ma questo non vuol dire che la questione sarà risolta. Anzi, accadrà piuttosto il contrario, con un battaglia legale e politica che rafforzerà negli scozzesi la volontà di lasciare il Regno Unito.


Con la Brexit, la Gran Bretagna ha dato il via al processo di disgregazione non tanto dell'Europa, quanto di se stessa.

Oltre alla Scozia, infatti, c'è poi da considerare la questione nord irlandese, dove unionisti e Sinn Féin si sono quasi spartiti i collegi. Entrambi, però, sono contrari all'ultimo piano per la Brexit presentato da Johnson, dove il backstop è stato sostituito con un ancor più confuso sistema di controlli doganali, della cui gestione sarà investita solo l'Irlanda del Nord.

Dire che anche quella regione, per questo motivo, chiederà di lasciare il Regno Unito è più che azzardato, ma certo non è illogico iniziare a pensare che la tensione in Irlanda del Nord inizierà di nuovo a crescere... e questo non fa ben sperare.


Ultima conseguenza della vittoria dei conservatori?

Il piano per la Brexit. Anche se la Camera dei Comuni voterà una Brexit "soft", Johnson - lo ha già detto - intenderà comunque definire i nuovi accordi commerciali con l'Ue entro il 2020... scadenza che tutti, ma proprio tutti, reputano impossibile, dato che in realtà si tratta di rivedere rapporti di scambio che comunque riguardano gli interessi di 27 Paesi.

Quale potrebbe essere la conseguenza? Che il premier britannico, nonostante tutto, metterà in atto una hard Brexit, addossandone la colpa all'Ue.

Trump, Russia e Cina, che non vedono certo di buon occhio un'Europa che possa far loro concorrenza, già ora gongolano soddisfatte.