Nei pochi giorni trascorsi dal suo insediamento, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato a firmare documenti di indirizzo e decreti che stanno smantellando provvedimenti e accordi presi dalla precedente amministrazione Obama.

Dopo aver imposto l'interruzione delle direttive relative all'applicazione dell'ACA, Trump ha confermato l'intenzione di spostare l'ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, ha bloccato ogni nuova assunzione nel pubblico impiego se non legata a motivazioni che abbiano a che fare con la sicurezza, ha promesso alle aziende un abbassamento delle tasse con una nuova imposizione fiscale che - passando da oltre il 30% - oscillerà tra il 15 ed il 20%, ha confermato l'uscita degli USA dai trattati che regolano gli accordi commerciali con i paesi asiatici e con gli altri paesi del continente americano. I negoziati per gli accordi commerciali con l'Europa che ancora non erano stati firmati non andranno avanti.

Dopo aver annunciato una revisione degli accordi relativi al North American Free Trade Agreement, altrimenti conosciuto come NAFTA, Trump ha firmato l'uscita degli USA dal Trans-Pacific Partnership trade (TPP) che regolava gli scambi commerciali degli USA con Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam, senza citare altri paesi con cui erano in corso trattati per la futura adesione.

La motiviazione alla base della linea scelta da Trump è piuttosto semplice e si può riassumere nel seguente concetto: un'azienda che vuol vendere i propri prodotti negli USA non può permettersi di licenziare i propri dipendenti in America ed andare all'estero a produrre beni che poi verranno rivenduti anche agli stessi americani. Negli Stati Uniti, oltre alla progettazione, deve anche essere fatta la produzione. In caso contrario, i beni prodotti all'estero che verranno venduti negli USA verrebbero tassati pesantemente.

In base a questo tipo di considerazione la Cina sta seriamente preoccupandosi, perché molto del suo PIL si basa per l'appunto sulla produzione, a basso costo, di prodotti USA che vengono venduti in ogni parte del mondo, ma anche negli Stati Uniti. L'uscita dal TPP può già avere conseguenze in questo senso su alcuni dei paesi asiatici in forte espansione economica che facevano parte del trattato.

Ma al di là della linea di principio che guida l'attuale amministrazione USA, quello che salta agli occhi è la mancanza di soluzioni immediate e alternative che possano sostituire gli accordi in essere.

Inoltre, Donald Trump, non sembra neppure aver valutato le conseguenze che le sue scelte potranno avere. Ad esempio, in oriente, rinunciare al TPP, peraltro - va ricordato - appoggiato dalle aziende USA ma mai approvato dal Congresso, porterà molti paesi a rivedere i propri riferimenti e, probabilmente, grazie a questo, la Cina aumenterà nell'area la propria influenza politica e di conseguenza anche quella commerciale ed economica. Trump non sembra che con le sue scelte abbia valutato anche questi aspetti che non sono certo marginali.