Un anno fa, il 24 febbraio 2022, iniziava l'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte delle forze russe. Ripercorriamo brevemente le tappe che hanno portato allo scoppio delle ostilità, per poi soffermarci in un articolo successivo sulle trasformazioni che ha subito il mondo sul piano geopolitico.

 Sullo sfondo abbiamo l'antefatto della rivoluzione di Jevromaidan del 2014, in cui in Ucraina si manifestò un chiaro spostamento politico verso Occidente; a seguito di ciò, la Russia ha dapprima forzatamente annesso la Crimea, ed ha poi appoggiato gli oblast (regioni) separatiste del Donbass, nell'Ucraina orientale, dando inizio ad una guerra civile durata ben otto anni contro le forze di Kiev, causando molte vittime tra i civili. Nonostante la risposta degli Stati Uniti di Obama, che condannò il gesto ed impose sanzioni a Mosca, l'Occidente continuò ad intrattenere relazioni fondamentalmente cordiali con la Russia, che iniziò però a guardare verso il suo confine meridionale, oltre la Grande Muraglia Cinese. Il fronte in Donbass nel corso del tempo ha così assunto le caratteristiche di un conflitto a bassa intensità, con entrambi gli schieramenti congelati su di un fronte statico e lontano dai riflettori e dalle discussioni dei non addetti ai lavori. Ma per gli attori coinvolti, lo scontro rivestiva un importanza tutt'altro che secondaria.

 Nel luglio del 2021, mentre il mondo iniziava a muovere i primi passi decisivi fuori dalla pandemia di COVID-19, il presidente della Federazione Russa per l'ultimo ventennio, Vladimir Vladimirovich Putin, ex-KGB e noto appassionato di storia, pubblicò un saggio intitolato “Sull’unità storica di russi e ucraini”, in cui si spiega come i russi, gli ucraini ed i bielorussi non siano altro che un unico popolo, nato ai tempi dell'ormai celebre Rus'di Kiev, e ingiustamente divisi da contingenze geopolitiche, per lo più su spinta occidentale. In particolare, nel saggio si nega l’esistenza stessa dell’Ucraina come nazione autonoma, legittima e indipendente, evidenziando il legame etnico che unisce la sua popolazione alla Russia, e di come essa sia frutto del crollo dell'URSS, spesso definito dallo stesso Putin come “la più grande catastrofe geopolitica del secolo”. Riferendosi al conflitto in Donbass, il saggio afferma che esso sia un piano di destabilizzazione nei confronti della Russia da parte dell’Occidente. 

 Otto anni dopo i fatti di Jevromaidan e dall'inizio della conflittualità tra Russia e Ucraina, il mondo stava ancora facendo i conti con il bilancio della pandemia, mentre la presidenza Trump, la sommossa del 6 gennaio 2021 e la debacle afghana avevano provocato in occidente, europei in testa, una sorta di scetticismo nei confronti della credibilità e della risolutezza americana. Per questo, anche dopo mesi in cui Mosca aveva schierato circa 200.000 uomini lungo il confine con l'Ucraina, ufficialmente per esercitazioni, e dopo un duello diplomatico e mediatico con gli Stati Uniti sempre più aspro, in cui la Russia pretendeva delle garanzie che l'Ucraina non sarebbe mai entrata nella NATO, oltre  alla rimozione di tutte le basi militari americane dai paesi che fecero parte del Patto di Varsavia, gli allarmi lanciati da Washington sull'imminenza dell'invasione non vennero presi sul serio. 

 Viste a posteriori, le settimane immediatamente precedenti alle ostilità riflettono un momento di incredulità e confusione che ha attraversato molti alleati europei e occidentali, manifestato dagli appelli alla moderazione ed alla risoluzione diplomatica spesso incongruenti: celebre è il tentativo in extremis del presidente francese Macron, che a inizio febbraio si recò al Cremlino per cercare di inserirsi come mediatore europeo e scongiurare il peggio, mentre poche settimane prima il presidente degli Stati Uniti aveva affermato che un’incursione minore sarebbe potuta diventare oggetto di discussione, mentre un’invasione su larga scala avrebbe provocato conseguenze drastiche. Infine, verso la metà del mese, le ambasciate e gli uffici consolari occidentali diedero ordine di evacuazione, ed il personale addetto trasferì le missioni nella città di Leopoli, Ucraina orientale, forse anticipando la possibilità di vedere presto il paese diviso. Il 22 Febbraio 2022, Putin si rivolse alla nazione attraverso una drammatica diretta live, dove riconobbe l'indipendenza delle repubbliche separatiste di Doneck e Luhansk, umiliando in diretta globale Sergei Naryshkin, capo dell'intelligence estera russa, e dove affermò lapidariamente che “l'Ucraina non esiste”.

 Il 24 Febbraio 2022 ebbe inizio quella che venne presentata come “operazione militare speciale”, e nel giro di poche ore le forze militari di Putin, identificabili dalla lettera “Z”, fecero il loro ingresso sul territorio Ucraino, ufficialmente per proteggere le minoranze russofone attraverso una missione di “demilitarizzazione e denazificazione” dell'Ucraina. L'operazione si basava sull'idea che la popolazione avesse scarso attaccamento e interesse a difendere il governo di Zelensky, immaginando che quest'ultimo si sarebbe dimesso e fuggito, come fece il suo omologo nel 2014, Viktor Yanukovych. Analisti, politici e capi di stato immaginarono lo stesso, considerato anche l'enorme divario militare e demografico esistente tra i due paesi. La Russia si aspettava probabilmente una capitolazione piuttosto breve delle istituzioni, sottovalutando il sentimento di appartenenza della nazione ucraina e scommettendo su una risposta confusa, scomposta e inefficace da parte degli alleati occidentali, per il quale ha probabilmente inciso la percezione che gli Stati Uniti stessero sperimentando un momento di stanchezza e debolezza, esemplificato dalla ritirata dall’Afghanistan appena otto mesi prima, che aveva chiuso una occupazione ventennale.

 A differenza dei calcoli di Putin, però, la auspicata e veloce presa di Kiev con conseguente destituzione del governo ucraino non si è verificata, e la guerra è ancora in corso, senza una fine realistica all'orizzonte: la tenacia e determinazione del popolo ucraino hanno permesso all'Ucraina di respingere l'assalto iniziale, ed in seguito l'appoggio (militare, logistico, tecnologico, d'intelligence) dell'Occidente, con Stati Uniti, Gran Bretagna e Polonia in testa, ha permesso agli ucraini di tenere testa all'invasione russa, sia pur con alterne vicende. Infine, l’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha applicato alla Russia il più grande apparato di sanzioni mai visto, isolandola sempre di più da sé (ma non necessariamente dal resto del mondo).

 Fra i principali eventi bellici di quest'anno ricordiamo solo i più importanti.

 Il primo e forse più importante lo abbiamo già accennato, ed è rappresentato dall'atteggiamento del presidente ucraino Volodimir Zelensky, che non solo non ha lasciato il paese in cerca di rifugio, ma avrebbe addirittura risposto ad una offerta di esfiltrazione ricevuta dai servizi segreti statunitensi con l'ormai celebre "Non mi serve un passaggio, mi servono munizioni". Il fatto che il governo ucraino sia rimasto saldo al comando ha impedito il crollo del paese, sia da un punto di vista organizzativo sia dal punto di vista del morale, giungendo anzi come fattore unificante per la popolazione, che si è unita in maniera intransigente, almeno fino a questo punto, nella difesa del paese .

 Il secondo, a cui è stato dato molto risalto mediatico, è l'assedio e distruzione della città di Mariupol da parte russa, avvenuto in maggio. La città, oltre ad essere un obiettivo strategico in quanto grande porto industriale e per via della sua posizione che permette la formazione di un corridoio che unisce Donbas e penisola di Crimea, era anche un obiettivo simbolico, in quanto la brigata Azov vi si era asserragliata. La neutralizzazione del battaglione Azov- lo ricordiamo, inizialmente noto per la sua matrice di ispirazione neo-nazista, o più precisamente banderista, successivamente ufficialmente abbandonato- era uno dei motivi addotti per l'inizio dell'invasione, la cosiddetta “denazificazione”. Ciò ha permesso di guadagnare tempo prezioso per riorganizzare l'esercito.

 Il terzo è la controffensiva ucraina partita a settembre, che ha portato alla riconquista dell'oblast di Kharkiv nell'est del paese e dell'oblast di Kherson a sud. Dopo quasi due mesi in cui i russi hanno ceduto terreno, le postazioni ucraine e russe si sono stabilizzate, portando ad una guerra statica, di trincea. Per cercare di solidificare la propria presa sui territori conquistati, la Russia annette unilateralmente le oblast di Doneck, Luhansk, Zaporizza e Kherson (anche se perde poco tempo dopo quest'ultima), e, per dare nuovo impulso all'invasione, viene dichiarata in Russia una mobilitazione parziale, coincisa con il sabotaggio al gasdotto Nord Stream 2, che collegava Germania e Russia, e sulla cui distruzione regna ancora troppa confusione per trarre conclusioni in via definitive.

 Arriviamo così ad oggi, in cui la guerra va avanti da qualche mese senza che vi siano grosse novità in termini di avanzamenti territoriali, anche se è attesa una offensiva russa in primavera ed una relativa controffensiva ucraina in estate. Quel che è certo è che nessuno dei contendenti è attualmente disposto a scendere a compromessi: la Russia intende come minimo conservare i territori conquistati e stabilizzare il corridoio che ha creato fra Donbass e Crimea, mentre l'Ucraina punta ufficialmente al recupero di tutti i territori persi dopo il 2014, compresa la Crimea.

Continua...