Il mandato presidenziale di Zelensky è scaduto il 20 maggio, dopo cinque anni dalla sua elezione. Ora si apre un periodo di incertezza costituzionale, perché l’ex attore rimane temporaneamente in carica solo grazie alla legge marziale da lui stesso prolungata fino ad agosto.
Lo ha detto in un’intervista alla Reuters, nella quale ribadisce la sua piena legittimità e la sua presa completa sul Paese. Sotto la legge marziale non si possono effettuare elezioni di alcun tipo, ma è evidente che non si potrà andare avanti così all’infinito.
L’estrema difficoltà di organizzare i seggi nel corso delle operazioni belliche è la giustificazione più usata sia da Zelensky sia dai suoi partner euroatlantici. Bisogna far votare i soldati al fronte, gli ucraini fuggiti in Europa (talvolta censiti in maniera imprecisa) e quelli che vivono nelle regioni occupate dai russi che ora fanno parte della Federazione Russa.
Sono ovviamente condizioni improponibili sulle quali fanno buon gioco coloro che dicono che Zelensky può e deve restare in carica. Lo dice per esempio il portavoce della Commissione Europea Peter Stano, lo ripete il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock, lo conferma il segretario di Stato USA Antony Blinken. Ecco che, tuttavia, proprio in America qualcuno nel mainstream si permette di far notare alcuni dettagli storti. Alcune “imperfezioni” che stonano con l’immagine dell’Ucraina baluardo democratico sotto brutale attacco.
Lo Washington Post afferma che per rimanere al comando Zelensky abbia comunque bisogno di una riconferma del suo consenso popolare. Soprattutto perché al suo fianco c’è una figura troppo controversa per passare inosservata. È il capo dello staff presidenziale Andriy Yermak, la cui unica qualifica è “essere amico di Zelensky”.
Dunque, senza voto popolare né esperienza di amministrazione politica, in un momento estremamente delicato della storia di Kiev questo soggetto assomma in sé di fatto i poteri di un premier e di un ministro degli Esteri. Lo dice con preoccupazione il giornale americano, a cui dall’altra parte dell’Atlantico fa eco il britannico Economist, che al presidente ucraino consiglia di fare piani per rinforzare i processi democratici dello Stato ucraino. A Kiev la democrazia non può essere sospesa sine die.