La stabilizzazione del cuneo fiscale, annunciata come una misura volta a sostenere i lavoratori, si rivela invece un boomerang soprattutto per chi percepisce i redditi più bassi. Secondo un'analisi della CGIL, il nuovo meccanismo introdotto dal governo Meloni non solo non aumenta i guadagni netti, ma in molti casi li riduce, colpendo in modo particolare chi guadagna meno di 35.000 euro lordi annui. Per i redditi più bassi, compresi tra 8.500 e 9.000 euro annui, la perdita può arrivare fino a 1.200 euro all'anno, pari a quasi due mesi di stipendio.
Christian Ferrari, segretario nazionale della CGIL, ha definito il nuovo sistema un "vero e proprio scandalo". Il passaggio dalla decontribuzione, introdotta inizialmente dal governo Draghi e poi confermata nel 2024, alla fiscalizzazione del cuneo contributivo nel 2025 ha stravolto il calcolo dei benefici per i lavoratori.
Nel 2024, la decontribuzione era semplice e diretta:
- Uno sconto del 7% per redditi fino a 25.000 euro.
- Uno sconto del 6% per redditi tra 25.001 e 35.000 euro.
Il calcolo si basava esclusivamente sull'imponibile previdenziale, garantendo una riduzione diretta dei contributi. Nel 2025, invece, il meccanismo è diventato più complesso e penalizzante, con il riferimento spostato sull'imponibile fiscale, che include anche eventuali altri redditi oltre a quello da lavoro dipendente.
Così il nuovo sistema prevede:
- Un bonus decrescente in base al reddito, dal 7,1% per redditi fino a 8.500 euro, al 5,3% tra 8.501 e 15.000 euro, fino al 4,8% tra 15.001 e 20.000 euro.
- Una detrazione di 1.000 euro per redditi tra 20.001 e 32.000 euro, con un décalage per quelli compresi tra 32.001 e 40.000 euro.
Questo approccio ha creato una paradossale penalizzazione per i lavoratori con i redditi più bassi, mentre i benefici restano invariati o addirittura aumentano per altre fasce di popolazione, alimentando una disparità già esistente.
Secondo lo studio della CGIL, il risultato è devastante per molte famiglie:
- Per i redditi compresi tra 8.500 e 9.000 euro lordi, la perdita annua può arrivare fino a 1.200 euro.
- La fascia fino a 35.000 euro, che comprende la maggior parte dei lavoratori dipendenti, vede una riduzione significativa del netto in busta paga.
Ferrari sottolinea che il governo ha ignorato le necessità di chi vive in condizioni di precarietà economica, aggravando una situazione già critica per molti lavoratori e lavoratrici.
Il problema si inserisce in un contesto più ampio di squilibri fiscali. Nel 2024, lavoratori e pensionati hanno contribuito con 17 miliardi di euro di extra gettito Irpef, utilizzati per finanziare interamente l'operazione sul cuneo fiscale. Tuttavia, secondo la CGIL, questa misura si traduce in una "partita di giro" che danneggia chi lavora o ha lavorato.
Nel frattempo, altre categorie beneficiano di strumenti come la flat tax, condoni e concordati preventivi, che favoriscono l'evasione fiscale, mentre le risorse per il welfare pubblico vengono tagliate. Le conseguenze sono evidenti: meno risorse per istruzione, sanità e servizi locali, con un impatto negativo su tutta la collettività.
Di fronte a questa situazione, la CGIL ha annunciato uno sciopero generale per chiedere una revisione delle politiche fiscali.
La stabilizzazione del cuneo fiscale, nelle modalità attuate dal governo, rischia di aumentare le disuguaglianze e peggiorare le condizioni di vita dei lavoratori più vulnerabili. La strada verso una politica fiscale più equa passa attraverso una maggiore attenzione alle fasce di reddito più basse e un impegno concreto per ridurre le disparità. Perché il "meno tasse per tutti" non può essere solo uno slogan, ma una realtà che non lasci indietro nessuno.
E per comprendere quanto Meloni e i suoi ministri siano nemici dei lavoratori, oltre al "taglia stipendi" sopra descritto, il presidente dei 5 stelle, Giuseppe Conte, ci ricorda anche questo nuova oscenità che l'esecutivo si appresta a far approvare in Parlamento:
"Oggi si è concluso nelle Commissioni finanze e lavoro della Camera l'esame della proposta di legge sulla “partecipazione dei lavoratori” alla gestione e ai risultati di impresa. Il testo originario, frutto di una iniziativa popolare, contemplava un modello di “co-gestione” dei lavoratori nell'impresa che aveva una sua coerenza.La versione uscita dalle Commissioni, confezionata dalla maggioranza di governo a suon di emendamenti, costituisce un nuovo obbrobrio e l'ennesima presa per i fondelli dei lavoratori.Qualche esempio. Le aziende potranno elaborare piani di “partecipazione finanziaria” dei lavoratori dipendenti che prevedono la possibilità di sostituire i premi di risultato con l'attribuzione di azioni.In sostanza questa maggioranza, dopo avere detto no al salario minimo, dopo avere scelto la strada della massima precarizzazione dei rapporti di lavoro, adesso attribuisce alle aziende il potere di decidere, unilateralmente e arbitrariamente, di pagare il premio di risultato (che è una retribuzione accessoria se non strutturale, che permette al lavoratore di beneficiare dei contributi previdenziali), con delle azioni. Azioni che - in caso di tensione finanziaria o di stato prefallimentare - potrebbero rivelarsi anche una sonora fregatura.Ma dove le studiano queste soluzioni, chi le suggerisce alla maggioranza? La ministra Santanché?Altro esempio. L'originario diritto dei lavoratori ad essere informati e preventivamente consultati in merito alle scelte aziendali è diventato invece una mera possibilità, rimessa al buon cuore del datore di lavoro, con un arretramento anche su elementari conquiste del diritto sindacale.Altro esempio ancora. La versione finale introduce una discriminazione incomprensibile tra lavoratori di aziende private e lavoratori di società a partecipazione pubblica. Come sempre Meloni e soci, quando incrociano i “poteri forti”, indietreggiano con l'inchino.Senza parlare di tutti gli emendamenti che, di fatto, sopprimono la contrattazione collettiva in tutti i passaggi più significativi del provvedimento.Fidatevi: questi sono talmente incapaci da essere pericolosi!"
Nonostante ciò, nei comizi, l'attuale premier Giorgia Meloni interpreta la messinscena persino di possibili crisi isteriche, urlando come un'indemoniata, pretendendo di far credere che lei agisce a favore del "popolo". Vengono i brividi, allora, solo a pensare che cosa sarebbe capace di fare nel caso in cui, invece, operasse per non favorire il popolo.