"In qualità di amico di Israele da una vita, il presidente Biden ha espresso pubblicamente e privatamente la sua opinione secondo cui i grandi cambiamenti in una democrazia per essere duraturi devono avere il consenso più ampio possibile. È un peccato che il voto di oggi si sia svolto con la maggioranza più esigua possibile. Comprendiamo che i colloqui siano in corso e probabilmente continueranno nelle prossime settimane e mesi per forgiare un compromesso più ampio anche con la prossima pausa dei lavori della Knesset. Gli Stati Uniti continueranno a sostenere gli sforzi del presidente Herzog e di altri leader israeliani, mentre cercano di costruire un consenso più ampio attraverso il dialogo politico". 

Questa la dichiarazione con cui ieri l'addetta stampa della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, ha commentato il primo significativo passaggio  della riforma della Giustizia approvato lunedì dalla Knesset.

Un via libera che ha alimentato la protesta già in atto, con i manifestanti che hanno invaso anche le principali arterie di Gerusalemme e Tel Aviv, innescando una dura repressione da parte delle forze dell'ordine mai vista in precedenza... nei confronti degli israeliani.

Solo a tarda notte la polizia è riuscita a riportare la calma, ma gli organizzatori delle manifestazioni che ormai vanno avanti da più di 7 mesi non si danno per vinti, dichiarando che la protesta continua. Una protesta che si sta allargando anche alle diverse componenti della società, come confermano i primi scontri tra gli israeliani (radicali ultraortodossi e coloni) che sono a favore della riforma della Giustizia e quelli che invece manifestano contro.

Intanto, mercati finanziari, banche e agenzie di rating hanno iniziato a esprimere, senza tanta diplomazia, la loro preoccupazione per quello che già oggi sta accadendo in Israele che, a loro parere, avrà conseguenze negative sull'economia. Conseguenze che potrebbero anche aggravarsi, se la maggioranza dovesse procedere nel muro contro muro messo finora in atto.

L'Avvocato generale dello stato, Gali Baharav-Miara, il marzo scorso aveva sollevato il problema su un altro tassello della Riforma della Giustizia, comunque approvato in quei giorni, tramite il quale un premier in carica adesso può essere rimosso dalla sua posizione solo per impedimento fisico o mentale... dopo l'approvazione di almeno il 75% dei ministri del suo esecutivo. In caso di rifiuto, sarà allora il 75% degli eletti alla Knesset a dover decidere.

Il provvedimento - licenziato con 61 voti a favore e 47 contrari in una maratona notturna - impedisce così alla Corte Suprema di esprimersi  se un primo ministro in costanza di mandato sia adatto o meno a svolgere il proprio incarico.

Un legge palesemente creata "ad hoc" per Benyamin Netanyahu, visto che il premier poteva essere considerato in conflitto di interessi proprio con la riforma giudiziaria, a causa del suo processo per corruzione in corso a Gerusalemme.

Dopo aver atteso che la Knesset desse il via libera anche la norma che revoca alla Corte Suprema l'autorità di annullare le decisioni del governo che ritenga  "irragionevoli", Gali Baharav-Miara ha chiesto oggi all'Alta Corte di esprimersi su quanto approvato a marzo dalla Knesset in relazione alla norma sul legittimo impedimento, descritta in precedenza.

Nella richiesta inviata alla Corte, Baharav-Miara sostiene che la Knesset ha abusato della sua autorità per approvare la legge di marzo al fine di migliorare la posizione di Netanyahu, sotto processo per corruzione, aggiungendo che i legislatori hanno cercato di "consentirgli di operare in violazione delle sentenze del tribunale".

La crisi istituzionale paventata è ora servita. Israele sta disgregando Israele.