"Chi come Travaglio non riesce a cogliere la differenza tra far parte di advisory board internazionali e spartirsi valigiate di contanti avrà modo di spiegare le proprie raffinate teorie davanti ai magistrati. I miei soldi non li prendo né dal Qatar né dal Marocco ma da quelli come Dagospia, che mi ha appena bonificato una consistente cifra, avendo perso nelle scorse settimane una causa civile. Insomma io i soldi li prendo da chi mi diffama e continuerò a farlo".

Chi poteva fare un'affermazione del genere? Chi altri se non Matteo Renzi? Lo ha scritto in una delle sue "e-news" a fine dicembre, annunciando la solita querela nei confronti del direttore del Fatto, reo - a suo dire - di averlo diffamato per aver fatto notare che la sola differenza tra lui e l'eurodeputata Eva Kaili è che la ex vicepresidente del Parlamento europeo ha fatto attività di lobbying prendendo dei soldi in nero (per non contravvenire alle regole di Bruxelles), mentre il senatore di Rignano ha fatto (e probabilmente continua a fare) attività di lobbying facendo fattura, perché al Senato non c'è un regolamento che glielo vieta. L'altra differenza è che la Kaili ha preso soldi da Marocco e Qatar, mentre Renzi li ha presi dall'Arabia Saudita.

E dove sarebbe la diffamazione nel raccontare ciò che è la realtà dei fatti? Mistero. In ogni caso, quando a Renzi la realtà che lo riguarda non piace, lui denuncia.

L'ultima volta, però, gli è andata male.

Intervenendo in una puntata di Tagadà su La7 - una vicenda che risale al 2019 - Travaglio aveva dietro di sé, su una mensola di una libreria alle sue spalle, quello che a tutti gli effetti era un rotolo di carta igienica con su stampata la faccia di Renzi, con accanto una rappresentazione stilizzata di un escremento.

Non che il rotolo fosse in primo piano e così visibile... ma un occhio fino, durante la puntata lo notò e a Travaglio, in diretta, fu chiesto chiarimenti al riguardo. Lui minimizzò dicendo: "In effetti, ma è per scherzo…"

Per scherzo? Te lo faccio vedere io... deve aver pensato Matteo Renzi e subito ha telefonato al suo avvocato di fiducia per capire se poteva farci o meno dei soldi (questo sembrerebbe il modus operandi del senatore in base ad una lettera del babbo resa nota sulla stampa). L'avvocato evidentemente lo rassicurò che esistevano i presupposti per la querela e querela fu, con richiesta di risarcimento di  500mila euro per danni morali, esistenziali, patrimoniali e non patrimoniali.

Stavolta, però, a Renzi non è andata bene. Nella sua sentenza, la giudice Susanna Zanda lo ha condannato a 42mila euro, oltre ad altri 30.641 tra spese legali, oneri accessori e Iva.

Così il Fatto Quotidiano ricostruisce la decisione della giudice in base a quanto da lei scritto:

La sentenza della giudice Susanna Zanda ricostruisce la vicenda dando atto del fatto che rotolo di carta igienica e cartolina non erano quasi nemmeno visibili durante il collegamento di Travaglio a Tagadà su La 7. Tant’è vero che nelle ore subito dopo la trasmissione nessuno aveva parlato in Rete o sui social di quel rotolo di carta igienica. Solo il giorno successivo erano iniziati a circolare, rilanciati dal quotidiano online Open, alcuni fotogrammi ingranditi in cui si riconosceva il volto di Renzi.E nemmeno si poteva incolpare Travaglio, che durante il collegamento non aveva detto nulla di diffamatorio, di aver posizionato quegli oggetti apposta dietro di sé per realizzare “una tecnica comunicativa ad hoc, finalizzata ad inviare messaggi mediatici particolari”, come avevano sostenuto i legali di Renzi.Quei gadget sono venduti su Ebay e Amazon anche con i volti di altri politici, ritratti “scherzosamente”. Oggetti non accostabili al concetto di diffamazione quanto piuttosto a quello di satira. “Le vendite di questi prodotti sono lecite – scrive la giudice – per cui è verosimile che trattasi di regalo o gadget recapitato a Travaglio e da lui riposto tra i vari regali nella sua libreria della stanza personale”.E qui arriva la lezione di democrazia che la giudice dà all’ex presidente del consiglio: come ribadisce la Corte di giustizia europea, “la satira è espressione di libertà democratica e un uomo politico deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi. La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante”.Dunque, sottolinea la sentenza, “se anche si volesse intendere che in un’intervista televisiva si possa prescindere dalle parole dell’intervistato per dare valore, invece, agli oggetti posti in secondo piano e alla loro valenza comunicativa (… ), resta comunque il fatto che un personaggio politico in uno stato democratico deve tollerare immagini satiriche della sua persona e del suo volto, anche impresse su gadget come quello di causa, perché solamente in un regime totalitario è vietato criticare o ridicolizzare un personaggio politico”.E visto che in Italia non viviamo sotto un regime totalitario, Renzi deve accettare che il suo volto impresso sulla carta igienica o accanto a feci fumanti possa finire in diretta tv.

Che cosa ha detto il sempre ciarliero Renzi a commento della sentenza? Nulla. Che cosa hanno detto i suoi megafoni in Parlamento? Nulla.