"La manovra finanziaria per il prossimo triennio si muove all'interno di un sentiero molto stretto in cui devono trovare un difficile equilibrio spinte ed esigenze diverse:

  • rispondere alle difficoltà delle famiglie di fronte alla forte crescita dei prezzi;
  • adeguare gli stipendi in sede di controllo pubblici senza innescare una spirale negativa prezzi-salari;
  • rafforzare un sistema dei servizi sanitari, assistenziali ma non solo, provato dall'emergenza pandemica;
  • assicurare una maggiore flessibilità nelle scelte previdenziali; mantenere adeguati ritmi di investimento nel processo di ammodernamento infrastrutturale del Paese.

Tutto ciò garantendo il percorso di riequilibrio dei conti e un graduale rientro del rapporto debito Pil. Tale disegno viene perseguito utilizzando i margini disponibili in un quadro tendenziale che presenta spazi molto contenuti. In coerenza con il programma di governo, pur con tali vincoli, le misure proposte sembrano cogliere risultati di rilievo in termini di reddito disponibile dei lavoratori, nel processo di consolidamento e di maggiore sostenibilità del sistema previdenziale, nonché nel necessario percorso di semplificazione e di riorganizzazione delle strutture di intervento pubblico. Ma i vincoli alla manovra hanno consentito solo in parte di dare una risposta in termini di nuove risorse ai problemi che affliggono il nostro sistema di welfare, alle necessità di rafforzare la spinta al processo di ammodernamento della dotazione infrastrutturale e alla crescita degli investimenti. L'equilibrio tra i diversi fabbisogni che viene descritto rimane quindi molto esposto alle intemperie di una congiuntura economica e sociale difficile. Se appare corretto l'implicito richiamo in tutte le aree dell'azione pubblica ad un più attento utilizzo delle risorse, il quadro è soggetto al pericolo di non riuscire a mantenere la qualità dei servizi offerti, rischiando di vanificare, specie nel caso delle fasce più deboli della popolazione, il beneficio monetario che ci si propone di dare. Già dal prossimo anno, le scelte che sono state prese, spesso a carattere temporaneo, richiederanno, per essere confermate, decisioni non semplici in termini di razionalizzazione della spesa. Scelte che dovranno trovare un importante sostegno da una decisa lotta all'evasione e da un efficiente ed efficace attuazione delle riforme e degli investimenti previsti dal PNRR".

Questo è il commento conclusivo del rapporto della Corte dei Conti sulla prossima manovra finanziaria per il 2024 presentato lunedì  alle Commissioni bilancio congiunte di Camera e Senato. Di seguito, invece, il passaggio relativo al tema sanità:

"Il rifinanziamento proposto fa crescere l'importo del fabbisogno sanitario nazionale cui contribuisce lo Stato a 134 miliardi. Ben al di sopra dei 129 miliardi del 2023, anno in cui, tuttavia, ha inciso anche il finanziamento pari a 1.085 milioni destinato dal d.l. 34/2023 a ridurre l'incidenza del payback sui dispositivi medici a carico delle aziende produttrici. Nel 2025 il finanziamento si colloca ora a 135,4 miliardi, in aumento di un ulteriore 1 per cento (Tavola 7). Due aspetti vanno poi rilevati. Nonostante l'aumento previsto dal d.d.l. di bilancio, il fabbisogno sanitario a cui concorre lo Stato si conferma in rapporto al prodotto in graduale ma netta flessione: nel triennio di previsione si riduce di tre decimi di punto (dal 6,3 del 2023 al 6 per cento a fine periodo). Inoltre, dei nuovi fondi 2,4 miliardi sono destinati al rinnovo dei contratti per il personale, mentre circa 500 milioni nel 2024 (che crescono a 1,5 miliardi nel 2025) sono “vincolati” a specifici interventi. Risultano pertanto pressocché nulli i margini disponibili per adeguare la spesa ai fabbisogni crescenti, legati innanzitutto alla crescita dei prezzi delle altre voci di costo del settore. Si deve considerare, infatti, che già nell'anno in corso la tenuta dei conti del settore è stata soggetta ad una crescita della spesa particolarmente significativa: un aumento del 3 per cento, trainato soprattutto dagli acquisti di beni (+7,5 per cento), dalla specialistica (+5,2 per cento) e dai servizi appaltati (+5,6 per cento).

Considerando l'impatto delle misure, al lordo degli effetti indotti, la spesa sanitaria nel 2024, in termini di contabilità economica, cresce di 1,2 miliardi rispetto all'anno precedente (135,9 miliardi rispetto ai 134,7 miliardi del 2023). Per il triennio 2024-2026 si attenua il profilo discendente disegnato con il DEF 2023 prima e con la NaDEF poi: la spesa è attesa crescere del 3,5 nel 2025 e dell'1,8 per cento nell'anno terminale. Il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil si mantiene al 6,4 per cento nel prossimo biennio (due decimi di punto inferiori al 2023) per flettere di un decimo nel 2026.

Il quadro che emerge si conferma quindi stringente. Si tratta di una condizione che richiederà scelte gestionali non facili in termini di allocazione delle risorse tra i diversi obiettivi e un attento esame della qualità della spesa. Ciò rende necessario un riesame dell'efficacia di tutti gli strumenti per la razionalizzazione della spesa messi in campo negli ultimi anni a cui non sempre si sono accompagnati effetti positivi.

Per far fronte alla carenza di personale si proroga a fine 2026 l'autorizzazione agli incrementi delle tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive di cui all'articolo 115, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro dell'Area sanità, già disposte dal d.l. 34/2023 per quanto riguarda il settore dell'emergenza urgenza e ora estese a tutti i comparti, confermando gli importi per il personale medico (100 euro) ed incrementando quelle del personale del comparto fino a 60 euro lordi omnicomprensivi, al netto degli oneri riflessi a carico dell'Amministrazione. A tale finalità sono destinati 280 milioni annui per il prossimo triennio, a valere sul livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard. Si rafforza poi il monitoraggio sull'attività intramoenia, prevedendo che l'Organismo Paritetico regionale istituito a seguito dell'adozione del Piano per il riassorbimento delle liste d'attesa presenti una relazione semestrale sullo svolgimento di tale attività al Comitato LEA, da prendere in considerazione nell'ambito della valutazione degli adempimenti relativi alle liste di attesa. Per garantire la completa attuazione dei propri Piani operativi per il recupero delle liste d'attesa, si autorizzano le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ad avvalersi nel 2024 anche delle strutture private accreditate, superando i limiti posti dal d.l. 95/2021 ma entro lo 0,4 per cento del livello di finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato per l'anno 2024. Anche per questa finalità, il tetto di spesa per acquisti di prestazioni è stabilito per il 2024 pari all'importo del 2011 incrementato dell'1 per cento.

Nel 2025 è previsto un ulteriore incremento, rispettivamente del 3 e del 4 per cento. La scelta assunta con il disegno di legge spinge a due riflessioni. La conferma del ricorso alle prestazioni aggiuntive previste dal contratto nazionale ha avuto ormai una prima applicazione in un arco temporale non breve. Disporre di primi dati sul ricorso a tale modalità di intervento e alla sua estensione potrebbe aiutare a comprenderne l'efficacia e le potenzialità. Un secondo elemento di riflessione è desumibile dalla dinamica crescente dell'attività intramoenia. I dati relativi al primo semestre 2023 (a confronto con lo stesso periodo del 2022) segnano andamenti significativi: a livello complessivo le uscite per intramoenia crescono di oltre il 12 per cento, come conseguenza di un aumento superiore al 13 per cento della specialistica e del 9,3 per cento dell'ospedaliera. Un risultato che rafforza quello registrato a fine 2022. Il fenomeno non può essere letto solo (da un punto di vista patologico) sotto il profilo dei vincoli da porre ad un suo esercizio, in presenza di liste d'attesa ancora da riassorbire. Esso rappresenta anche l'espressione di come, alla ricerca di una integrazione del reddito, si accompagni una gestione del tempo eccedente l'orario di lavoro e una prospettiva professionale che non trova corrispondenza nelle occasioni offerte da prestazioni aggiuntive. Un segnale di un orientamento (e di una sofferenza) del personale sanitario di cui è necessario tener conto.

Le misure finora assunte non sembrano in grado di rispondere strutturalmente alle difficoltà che caratterizzano ormai in maniera diffusa tutte le strutture pubbliche. Oltre a quanto avviene nel settore dell'emergenza e urgenza, infatti, si accentuano i problemi legati ai pensionamenti, all'aumento dei casi di “fuga dal pubblico” ma anche di ricerca di opportunità di lavoro all'estero, legata a condizioni economiche più vantaggiose. La crisi di personale è resa oggi più difficile anche dal fatto che fabbisogni crescenti caratterizzano anche gli altri paesi europei, sottoponendo il nostro ad una forte pressione competitiva e restringendo i margini per il ricorso a personale straniero. La rilevazione OCSE relativa al 2021 indica un flusso in uscita dal nostro paese superiore al migliaio di unità in media annua. Si tratta di trasferimenti soprattutto in direzione di tre nazioni (Gran Bretagna, Germania e Svizzera).

Le pur consistenti differenze di retribuzione (in parità del potere di acquisto) non appaiono essere l'unica ragione di un fenomeno più complesso, per affrontare il quale devono essere trovati nuovi punti di equilibrio tra le necessità del servizio pubblico e le legittime aspettative dei professionisti. Per incidere sul mantenimento del personale nell'area pubblica è necessario, infatti, garantire remunerazioni più adeguate, ma anche migliorare le condizioni di lavoro, riducendo i carichi in molti casi oggi eccessivi, offrire modalità di lavoro flessibili, fornire attrezzature adeguate. Non aiutano poi allo scopo l'allungamento dei tempi per il rinnovo dei contratti (su cui la disponibile oggi di risorse specificamente destinate potrebbe incidere positivamente), il discontinuo operare dei concorsi, i vincoli posti all'attività professionale.

Sul fronte della farmaceutica si interviene sia sui tetti alla spesa, che sul meccanismo di remunerazione delle farmacie. Nel primo caso crescono le percentuali di quella per l'assistenza diretta e flettono quelle per la convenzionata; nel secondo l'aggiornamento degli importi (fissi e variabili) riconosciuti per farmaco si accompagna alla previsione di specifiche maggiorazioni e alla eliminazione degli sconti. Con l'articolo 44, in particolare, si modificano i tetti della spesa farmaceutica. Per l'anno 2024 il limite per gli acquisti diretti è rideterminato nella misura del 8,5 per cento (rispetto al 7,65 per cento del 2023 e all'8,3 previsto a legislazione vigente), mentre quello per la farmaceutica convenzionata si riduce dal 7 al 6,8 per cento. La modifica, se amplia i margini di spesa per gli acquisti diretti, incide anche sulla dimensione degli sfondamenti e, per questa via, sul contributo richiesto alle imprese farmaceutiche per il payback (pari al 50 per cento della spesa eccedente il limite in tutti e due i casi). Due elementi possono aiutare a comprendere l'entità della modifica. Guardando ai risultati dei primi 6 mesi del 2023 (quelli al momento disponibili) proiettati ad anno, con le nuove soglie 8 Regioni supererebbero il tetto del 6,8 per cento previsto per la convenzionata (di 130,4 milioni) mentre il dato nazionale sarebbe ancora inferiore al limite previsto. Diverso l'andamento nel caso degli acquisti diretti. Pur confermandosi in tutte le regioni un livello di spesa al di sopra del limite, lo scostamento complessivo, con il passaggio al tetto dell'8,5 per cento rispetto all'8,3 per cento del fabbisogno sanitario standard si riduce di 255 milioni, da 3,4 a circa 3,1 miliardi, (da 4,2 a 3,1 miliardi rispetto al tetto al 7,65) con un conseguente ridimensionamento del payback.

A meno di non ipotizzare una riduzione degli acquisti diretti, il nuovo tetto alla spesa comporterebbe un costo aggiuntivo significativo. Le maggiori risorse attribuite al SSN devono compensare, quindi a parità di consumi, anche tale minor apporto richiesto alle aziende farmaceutiche. Come già osservato, se il ricorso a tetti di spesa ha prodotto anche nel recente passato distorsioni e conseguenze negative sulle scelte degli operatori, nonché un prolungato contenzioso, la conferma dei trend di spesa e il permanere di forti differenze nei consumi tra regioni e aree richiedono una attenta valutazione degli effetti associati alla norma, anche sotto il profilo delle entrate nette regionali, e spingono ad una riconsiderazione complessiva del meccanismo. Particolare rilievo, nel processo di revisione del sistema, assume, poi, il riassorbimento del contenzioso e il monitoraggio del rispetto degli obblighi di copertura degli importi dovuti dalle aziende farmaceutiche e da quelle di dispositivi medici che continuano a presentare “sfondamenti” di rilievo.

Sotto questo profilo è importante sottolineare l'importanza di condizionare l'aggiornamento dei tetti all'integrale pagamento, da parte delle aziende farmaceutiche, degli oneri per il ripiano degli sfondamenti degli esercizi passati".