Il libro è morto?

Marco Cubeddu in un post su Il Giornale, parlava di presentazioni come farsa. Diceva che per sostenere a proprie spese un viaggio allo scopo di presentare il proprio lavoro, evento cui senza la presenza di amici e parenti si va incontro a una toppa clamorosa, bisogna esseri ricchi di famiglia. E anche che bisogna essere degli inguaribili Tafazzi.

Bisogna saperci fare, bisogna curare le relazioni, bisogna sorridere, bisogna essere positivi, bisogna credere, bisogna dare speranze e regalare sogni. Bisogna vendere fischi per fiaschi, bisogna spacciarsi sempre attivi e in moto, pregni d’impegni, bisogna fotografarsi, mostrare i propri traguardi. Sì, ma la letteratura?

La letteratura e l’editoria hanno già avuto il proprio funerale. Il libro è morto, quello che gira è solo una qualche materia imbalsamata, chi si sente scrittore è un manager di se stesso e assomiglia al becchino che chiude le bare nei fornetti.


La nuova produzione serve?

No, finché sarà usata come uno strumento di evasione, ma è un male necessario, nella vaga speranza che tra i miliardi di scrivani, si nasconda il nuovo Fante o la nuova Fallaci.


L’e-book sembra già un’occasione persa.

Maurizio Maggiani rilasciò una bella intervista a Linkiesta, nella quale dichiarava che il formato elettronico è già digitale da trent’anni, dal momento in cui s’è cominciato a scrivere col computer. Nulla da dire, il libro è pensato e composto elettronicamente, quel che cambia è la versione finale.

Io credo che oggi gli scrittori non esistano. Sono estinti, come i poeti de L’attimo fuggente. Scrivere col computer è diverso da scrivere a macchina: c’è internet.

Renzo Tramaglino è tratteggiato dal Manzoni come un giovane che non scrive, ma legge con difficoltà e ha una particolare diffidenza per la parola scritta. Il promesso sposo più famoso di tutti, non era un profeta ma lo aveva già capito.

Il libro è morto? È quello che vi chiedo.

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