43 anni fa, a Palermo, la mafia assassinò sotto la sua abitazione il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella. Era la mattina di domenica 6 gennaio e Mattarella, alla guida della propria Fiat 132, stava per recarsi a messa insieme alla moglie, alla suocera e alla figlia Maria. Un sicario di Cosa Nostra si avvicinò all'automobile e lo freddò con alcuni colpi di calibro 38 sparati attraverso il finestrino. Poi si diresse verso una Fiat 127 bianca ferma pochi metri più avanti, ricevendo da un complice, che era alla guida, un'altra pistola con cui, tornato indietro verso la vettura di Mattarella, esplose altri colpi attraverso il finestrino posteriore che ferirono a una mano la moglie di Mattarella. Poi si allontonò con la vettura guidata dal complice che lo aveva aiutato.

Perché quell'omicidio?

Il Procuratore Gian Carlo Caselli, in un'intervista a Repubblica del 12 agosto 1997, lo spiegò così: «Piersanti Mattarella un democristiano onesto e coraggioso, ucciso proprio perché onesto e coraggioso».

Il Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, nel libro Per non morire di mafia, ha scritto: «Piersanti Mattarella stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un'autentica rivoluzione. La sua politica di radicale moralizzazione della vita pubblica, secondo lo slogan che la Sicilia doveva mostrarsi "con le carte in regola", aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell'isola».

Oggi, suo fratello, l'attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha ricordato partecipando a una messa in memoria, celebrata in forma privata.

Ieri il presidente della Repubblica aveva rilasciato una dichiarazione nel 40° anniversario dell'uccisione del giornalista Giuseppe Fava, altra vittima della mafia, uccisa il 5 gennaio del 1983:

«Sono trascorsi quarant’anni dal vile assassinio per mano mafiosa di Giuseppe Fava, giornalista che ha messo la sua passione civile al servizio della gente e della Sicilia, impegnato nella battaglia per liberarla dal giogo della criminalità e dalla rete di collusioni che consente di perpetuarlo.La mafia lo uccise per le sue denunce, per la capacità di scuotere le coscienze, come fece con tanti che, con coraggio, si ribellarono al dominio della violenza e della sopraffazione e dei quali è doveroso fare memoria.Fava ha fatto del giornalismo uno strumento di irrinunciabile libertà. L’indipendenza dell’informazione e la salvaguardia del suo pluralismo sono condizione e strumento della libertà di tutti, pietra angolare di una società sana e di una democrazia viva.Un impegno e un sacrificio a cui la Repubblica rende omaggio».

Oggi, la mafia - intesa come delinquenza organizzata a livello nazionale e non più come fenomeno solo legato alla Sicilia - ha sempre meno bisogno di uccidere, perché sempre di più legata e infiltrata al mondo della finanza e della politica di cui, direttamente e indirettamente, è ormai parte integrante, grazie a sistemi elettorali sempre più opachi, pensati per promuovere collettori di voti e il conseguente malaffare in cambio di un seggio sicuro... grazie a politici che pretendono di esser definiti paladini della legalità.