Il ministro Minniti il 13 luglio è in Libia per dare l'impressione all'opinione pubblica italiana di poter organizzare, su quelle coste, un filtro o un qualche controllo alla partenza dei migranti verso le coste italiane.

Ovviamente, Minniti sa benissimo che, considerata l'estensione del paese africano e le diverse forze politiche che lo controllano, è impossibile che possa ottenere un qualche minimo risultato. Ma la sua visita in Libia non ha uno scopo pratico, bensì promozionale.

In vista delle prossime elezioni deve far vedere quanto lui si sia dato da fare per impedire ai migranti di approdare in Italia, in funzione del fatto che questo è il messaggio che oggi paga di più elettoralmente.

Così, degli incolpevoli sindaci libici si sono ritrovati a far da comparse al ministro dell'Interno italiano in un incontro all'ambasciata italiana a Tripoli dove tutte le parti si sono scambiate promesse di reciproco aiuto nella lotta ai trafficanti, ipocritamente indicati come problema principale alla base dell'arrivo dei migranti in Italia.

Quindi, "facciamo un patto per liberare le nostre terre dai trafficanti. Insieme nessun obiettivo è precluso" è lo slogan che ha riassunto l'incontro tra sindaci libici e ministro italiano.

E come metterlo in pratica lo ha suggerito lo stesso primo ministro libico Fayez al Sarraj che ha detto di voler ricorrere all’aviazione contro "l’emigrazione illegale".

In sostanza, Sarraj vuole bombardare le navi degli scafisti che partono dalle coste della Libia dirette verso l’Italia. Questa, secondo lui, è la modalità per mettere in pratica una lotta di contrasto ai trafficanti che abbia come conseguenza quella di frenare l’afflusso dei migranti in Italia dalle frontiere meridionali della Libia.

Se questa eventualità abbia come conseguenza implicita anche l'affondamento delle barche e di quanti si trovino a bordo di esse, cioè i migranti, Sarraj non lo ha specificato e nessuno, neppure il governo italiano, si è preoccupato di chiederlo.