La verità sulla morte di Paolo Borsellino, di Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Valter Eddie Cosina avrebbe dovuto essere il fine ultimo dei tanti processi tenutisi fino ad oggi. Questo, a prescindere dai motivi scatenanti che deriverebbero dal dossier “Mafia e Appalti” o dal coinvolgimento nella strage di apparati deviati dei servizi segreti.

Nell’uno o nell’altro caso, nulla cambia sul raggiungimento della verità. Il processo penale non può essere finalizzato soltanto all'applicazione di una pena. Il suo vero scopo è di fare chiarezza sul reato. Appurare la verità non dovrebbe essere differente dall’accertare ciò che realmente è accaduto.

La diatriba tra i parenti di Paolo Borsellino, pur provando a comprendere le loro ragioni, non riesco a giustificarla perché, se pur non colpevolmente, rende più ardua la ricerca della verità. Le recenti audizioni in Commissione Parlamentare Antimafia, a mio parere, non porteranno ad alcun passo in avanti poiché non fanno altro che prospettare l’attendibilità delle rispettive tesi che si contrappongono ormai da tanti anni.

La Commissione Antimafia non è e non può essere sostitutiva delle funzioni della magistratura. La verità doveva e poteva essere raggiunta nel processo. Dopo trentuno anni, nessuno è stato capace di dare verità e giustizia. Nessuno forse ha voluto veramente ricercarle. Parla l’inefficienza dimostrata nelle indagini e nei processi sui fatti di via d’Amelio.

Il carteggio dei vari processi parla chiaro: si sono ricercate prove che poi si sono dimostrate farlocche e si sono sciolte come neve al sole nel processo. C’è stato un inquinamento probatorio così rilevante da impedire di ricostruire persino il probabile movente della strage avvenuta in via d’Amelio. L’accaduto ha certificato, di fatto, l’intervento di soggetti esterni a Cosa Nostra presenti allo scopo di alterare il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento sui fatti di via d’Amelio.

Movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via d’Amelio sono intimamente connesse. La convergenza d’interessi, a mio parere, c’è ed è evidente.

L’utilizzo di Vincenzo Scarantino ha consentito di realizzare il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana. Sedici anni, contrassegnati dalla complicità di molti, dall’incompetenza e dalla superficialità della macchina giudiziaria per ben nove gradi di giudizio e dall’incostanza di tanti giudici.

Lo Stato è responsabile perché non ha fatto tutto il possibile per salvare i suoi uomini più fedeli ai valori dalla legalità e della democrazia. Paolo Borsellino, se lo Stato si fosse impegnato con tutte le sue forze, poteva essere salvato. A tanti probabilmente faceva più comodo morto che in vita.

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra