Il caso del giovane assassino seriale Luigi Chiatti, che uccise due bambini nel 1992 e 1993, rappresenta un modello di studio, di notevole interesse, con pratici risvolti, circa la psicopatia. A livello giornalistico era stato ribattezzato come “il caso del mostro di Foligno”, indagine realmente complessa - anche in funzione della psicosi ingeneratasi, quasi sulla farsa riga di quanto già accaduto con il caso del “mostro di Firenze” - ma grazie al quale la psicologia forense riesce a farsi strada nello studio analitico della personalità psicopatica.

Tale disturbo viene classificato nel DSM 5 come antisociale di personalità: è un grave disturbo psichiatrico, caratterizzante vari assassini seriali, dove si riscontrano mancanza di empatia e tratti di sadismo, menzogna patologica, narcisismo e delirio di onnipotenza. Dal punto di vista investigativo è necessario citare l’utilizzo del criminal profiling a partire dall’intervista biografica, la quale è stata effettuata con i familiari delle vittime, con l’obiettivo di tracciare un profilo dell’offender, e poi dall’analisi delle lettere che il “mostro” indirizzava alle forze dell’ordine. Le lettere rappresentavano il messaggio con cui chiedeva aiuto alle autorità ma nel contempo era una sfida alle stesse, frutto, in sostanza, dell’ego smisurato del suo autore. Le missive mostravano insicurezza, incoerenza nello scritto, al punto tale da farlo apparire quasi “infantile”.

All'inizio del seguente articolo si legge la sua prima lettera: la scrittura ordinata, senza maiuscole né minuscole ma solo in stampatello fa emergere una personalità infantile, distaccata e meticolosa. Il grido di aiuto è solo una sfida verso le forze dell’ordine, una mera provocazione e dimostrazione del suo delirio di onnipotenza.

Il comportamento post-reato del Chiatti porta a ipotizzare autocontrollo ma anche un forte attaccamento alle vittime, l’agire dominato dal principio di realtà e non da quello del piacere perché, per esempio, attende il trascorrere di alcuni mesi prima di prelevare la foto del piccolo Simone Allegretti dalla sua lapide. Simone era stata la sua prima vittima, aveva solo 4 anni. Dal modus operandi di Chiatti è possibile dedurre che agiva a distanza di tempo e in una zona ben precisa. In prima battuta l’offender mirava all’ottenimento della fiducia delle povere vittime, avuta la stessa le rapiva con uno scopo ben preciso: la ricerca di un affetto incondizionato, al punto da portarlo a compiere atti di libidine nei loro confronti ma, al loro rifiuto, le uccide, tramite strangolamento e armi da taglio.

Quadro psico-familiare: è un soggetto in grado di pianificare l’atto e di manipolare le vittime, questi infatti sono tratti tipici di una comorbilità tra più disturbi di personalità, borderline e antisociale, in questo caso, accompagnati da traumi infantili (abbandono in orfanotrofio e attaccamento insicuro-evitante con la figura materna). Proprio quanto sofferto in infanzia ha probabilmente rappresentato un trauma che ha portato il Chiatti a ricercare, in età adulta, solo l’affetto di bambini o ragazzini.

Interessante appare anche l’analisi della comunicazione verbale e non verbale del “mostro”, durante gli interrogatori, in tribunale: il racconto dei fatti viene sciorinato in modo distaccato, i “gesti adattatori”, delle labbra e degli occhi, che accompagnano la descrizione verbale, dimostrano assenza di rimorso, al contrario il sorriso di compiacimento (tratti di sadismo) dimostra che prova ancora piacere per gli atti commessi; in particolare alza solo gli angoli della bocca sorridendo (è un sorriso di godimento, passando la lingua tra le labbra), assumendo poi un tono e un atteggiamento disinteressato (alza le spalle, le sopracciglia) e cerca di deresponsabilizzarsi affermando che è la vittima a spogliarsi, quindi ad agire.

La sentenza di condanna a 30 anni, infine, ha definito la sua capacità di intendere e volere anche se la perizia psichiatrica ha rilevato una semi infermità mentale. Si torni a rilevare come, nonostante la compresenza di disturbi di personalità, Chiatti è stato in grado di premeditare i suoi crimini; in particolare, prima di compiere gli omicidi aveva programmato di rapire i bambini e di portandoli in luoghi isolati, anche organizzando la successiva logistica, come lo sfamarli, per un lungo periodo di tempo. A seguire, dato gli accadimenti verificatosi, lo stesso offender è stato in grado di occultare le prove e i cadaveri partecipando anche alle ricerche della seconda vittima scomparsa, Lorenzo Paolucci di 13 anni.