“La Santa Sede condivide il desiderio della famiglia di arrivare alla verità sui fatti e, a tale fine, auspica che tutte le ipotesi di indagine siano esplorate”. Lo afferma il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, in risposta alle domande pervenute all’Ufficio del Promotore di Giustizia riguardo alle notizie apparse sulla stampa in questi giorni circa le indagini in corso sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la figlia di un dipendente vaticano scomparsa dal giugno 1983, per la quale è stato aperto un fascicolo nel gennaio scorso.
Nelle scorse ore un Tg italiano ha diffuso la notizia che la sorella di Emanuela, Natalina, sarebbe stata vittima di abusi da parte di uno zio, deceduto da anni, e che gli elementi indiziari sarebbero già al vaglio delle autorità giudiziarie. Natalina Orlandi, secondo quanto riferito in un servizio del Tg, avrebbe confidato le violenze subite dal parente ad un sacerdote molto vicino alla famiglia e dalle carte consegnate dal promotore di giustizia Alessandro Diddi alla Procura di Roma, sarebbe emerso uno scambio di lettere che ricondurrebbe all’interno della famiglia della ragazza la misteriosa scomparsa.Tali notizie hanno suscitato una forte reazione da parte del fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, e dalla stessa Natalina che, accompagnati dall’avvocato della famiglia Laura Sgrò, in una conferenza alla Stampa Estera di Roma ha rivolto accuse al Vaticano affermando che non vi è alcun interesse a raggiungere la verità. Da parte sua, Natalina ha chiarito di non aver mai subito molestie dallo zio ma solo delle “avance verbali”, terminate presto dinanzi alla sua ferma opposizione.A distanza di un giorno è giunta la risposta del direttore della Sala Stampa vaticana Bruni, il quale spiega che l’Ufficio del Promotore di Giustizia sta “cooperando attivamente con le Autorità competenti Italiane”. “Proprio in questo spirito, il 19 aprile scorso – si legge nella nota - i magistrati vaticani hanno consegnato riservatamente all’Italia, coperta dal segreto istruttorio, la documentazione disponibile relativa al caso, inclusa quella raccolta nei mesi precedenti nel corso dell’attività istruttoria”.Si ribadisce quindi il “desiderio” della Santa Sede, uguale a quello della famiglia, di arrivare attraverso questa indagine autorizzata da Papa Francesco “alla verità sui fatti”. A tale fine, si auspica “che tutte le ipotesi di indagine siano esplorate”. Quanto invece alle notizie che coinvolgono un parente di Emanuela, viene rilevato “che la corrispondenza in questione” - e cioè quella (della quale non sono stati confermati i contenuti) tra il cardinale Agostino Casaroli e un sacerdote sudamericano, in passato consigliere spirituale e confessore degli Orlandi, nella quale si chiede conferma delle presunte molestie subite da Natalina – “indica espressamente che non vi è stata alcuna violazione del sigillo sacramentale della Confessione”.

Questo quanto ha pubblicato mercoledì la stampa vaticana in relazione alla presunta svolta nel caso Orlandi, relativa alla possibilità che lo zio di Emanuela possa esser coinvolto nella sua scomparsa. In supporto all'articolo di Vatican News, a stretto giro, arriva anche il "pezzo" di Mentana sul Tg di La7:

La Santa Sede interviene stasera con una precisazione importante sui fatti resi noti lunedì sera dal TgLa7, una vicenda antica e riservata, le avances dello zio paterno nei confronti di Natalina Orlandi, nel 1978. Lei aveva 21 anni, lui 45, lavoravano entrambi alla Camera dei deputati, Natalina all'ufficio legale mentre lo zio Mario Meneguzzi gestiva il bar. Quelle molestie Natalina, preoccupata e scossa, le aveva rivelate nella massima segretezza al suo padre spirituale e l'8 settembre dell'83, tre mesi dopo la scomparsa di Emanuela, il sacerdote trasferito in Colombia aveva risposto nel giro di poche ore al messaggio cifrato - per capire quanto fosse segreto e delicato -  con cui il cardinale Casaroli chiedeva conferma dei fatti. Una conferma piena, da parte del religioso sudamericano, che circostanziava le parole di Natalina pronunciate in un colloquio personale, ma non durante il sacramento della confessione. Questa precisazione della Santa Sede risponde direttamente all'accusa fatta ieri, presente la stessa Natalina, dal fratello Pietro. Quei fatti che coinvolsero lo zio dei 5 fratelli Orlandi li abbiamo divulgati perché rappresentano un fatto nuovo, mai pubblicato nelle centinaia di libri e nelle decine di migliaia di articoli usciti sul caso, un fatto noto agli inquirenti, a Natalina Orlandi, ma non al resto della sua famiglia - come abbiamo scoperto ieri - e non agli italiani che da 40 anni si chiedono dove possa essere finita Emanuela. Si trattò solo di avances verbali, ha detto ieri Natalina, mi corteggiò per un mesetto, qualche regalo, poi realizzò che non c'erano possibilità, anche perché il mio fidanzato gli fece capire che sapeva, e la cosa fini lì. Escludo che zio Mario abbia agito allo stesso modo con Emanuela. Di questo argomento parlai solo con il mio futuro marito e con il padre confessore della famiglia.Ma non è stata solo la presunta violazione del sigillo della confessione ieri a fare infuriare Pietro Orlandi. "Ieri nel servizio è stato confrontato mio zio col famoso identikit dell'uomo che avrebbe fermato Emanuela davanti al Senato in corso Rinascimento. Già quello fa crollare tutta questa ipotesi perché confermato da noi, confermato da tutta la famiglia, mio zio con tutta la famiglia quel giorno stava in vacanza lontanissimo da Roma e mio padre quando è successo tutto la prima cosa che ha fatto è stata telefonare a mio zio, mi aiuti? Questa cosa già la sapevano in procura, mi domando, come lavorano questi della procura?". In realtà Ercole Orlandi il cognato non lo chiamò nell'immediatezza della scomparsa di Emanuela ma alcune ore dopo, verso mezzanotte. Meneguzzi ha sempre dichiarato di trovarsi in ferie fuori Roma fin dal giorno prima che la nipote scomparisse, e in effetti i lavori della Camera in quei giorni erano interrotti per le imminenti elezioni politiche. Però mercoledì 22 giugno 1983 lo zio Mario non era lontanissimo, come asserisce Pietro per dimostrare che l'uomo dell'identikit non possa assolutamente essere Meneguzzi. La casa di vacanza della famiglia, in provincia di Rieti, dista 90 chilometri da Roma, poco più di un'ora di macchina. Vedremo se la procura vaticana e la procura riusciranno a chiarire i tanti punti oscuri delle tante piste imboccate in questi anni, compresa quest'ultima. Certo alcune incongruenze non possono non essere evidenziate: ieri Pietro ha negato che l'avvocato Egidio, la cui parcella fu addebitata al Sisde, fosse stato scelto dallo zio. Ma come riporta sul Corriere della Sera del 28 luglio dell'83 uno dei giornalisti più esperti della vicenda, Andrea Purgatori, fu lo stesso Meneguzzi a dichiarare di aver nominato Egidio: "Lo ritengo più adatto a questo genere di cose del mio legale abituale, l'avvocato Adolfo Gatti". 

Insistere in un palese tentativo di dossieraggio per depistare l'attenzione sulla scomparsa di Emanuela Orlandi da possibili coinvolgimenti nella vicenda da parte del Vaticano, specialmente dopo le dichiarazioni di Pietro Orlandi della scorsa primavera, tirando in ballo una pista inutile e già battuta dalla magistratura non solo è assurdo, ma insistervi è addirittura ributtante, specialmente quando non si riescono neppure ad avere riscontri.

Procediamo per gradi.

Lo zio, Mario Meneguzzi, nel 1978, cinque anni prima della scomparsa di Emanuela, aveva fatto delle avance verbali alla nipote più grande, Natalina, allora 21enne. Della vicenda, escludendo i protagonisti, erano a conoscenza due persone soltanto: il fidanzato di Natalina (adesso suo marito) e il padre spirituale a cui lei aveva confidato l'accaduto.

Dopo la scomparsa di Emanuela, passati cinque anni, Natalina viene interrogata da Sica (il pm che conduce le indagini) che, senza alcun riguardo quasi fosse in qualche modo colpevole, le chiede delle avance che le aveva fatto lo zio. Chi glielo ha detto? Nessuno lo sa.

Più o meno nello stesso periodo, dalla segreteria di Stato, dallo stesso segretario di Stato Casaroli, viene inviata una comunicazione al padre spirituale di Natalina, che nel frattempo era tornato nel suo Paese d'origine - la Colombia -, per avere conferma delle confidenze ricevute dalla ragazza in relazione alla avance dello zio. Il prete risponde confermando l'accaduto. Il documento viene conservato nella cassaforte della Segreteria di Stato Vaticana e nel 2017 l'allora Sostituto Becciu lo utilizza per "ricattare" Natalina, convocata per un colloquio: fai smettere tuo fratello dall'interessarsi della scomparsa di Emanuela o noi rendiamo pubblica la storia di tuo zio. Questo è ciò che, in sostanza, le disse Becciu. Che rispose Natalina? Fate pure. 

Il Vaticano lo ha fatto adesso, montando la "pagliacciata" delle nuove indagini di cui è stato incaricato il promotore di Giustizia Diddi che doveva far luce su tutto e, invece, hanno prodotto solo la vicenda dello zio, che gli investigatori dell'epoca già conoscevano e che, ovviamente, non avrebbero non potuto indagare.

Nonostante la conferenza stampa dei fratelli Orlandi alla stampa estera, Vaticano e Mentana sono ritornati sulla notizia per cercare di ribadire la credibilità della "nuova vecchia pista". Una cocciutaggine che dimostra la disperazione del Vaticano nel voler distogliere l'attenzione da un possibile coinvolgimento nella vicenda di presunte orge organizzate da cardinali pedofili (di cui hanno parlato alcune fonti anche interne al Vaticano senza però fornire prove) e la tenacia dell'ormai screditatissimo Enrico Mentana che, per giustificare il suo scarso approccio alla verifica di una notizia, cerca in tutti i modi di aggrapparsi al nulla per avvalorarla.

Secondo Mentana, lo zio corrisponde all'identikit del presunto rapitore disegnato grazie alla descrizione che ne fece il vigile Alfredo Sambuco. Ecco la prova! 

Peccato però che il vigile Sambuco parli di un trentacinquenne, Mario Meneguzzi aveva qualche annetto in più. Inoltre, dopo il sequestro, lo zio aveva assunto il ruolo di portavoce della famiglia e compariva dappertutto: nei tg e nelle trasmissioni che al tempo si occuparono dell'accaduto con approfondimenti dedicati. 

Come ha fatto notare Federica Sciarelli nella puntata di ieri di Chi l'ha visto, perché in tutto questo tempo Sambuco non ha mai detto "è lui" l'uomo dell'identikit? Possibile che non abbia mai visto in tv lo zio di Emanuela?

Inoltre, Sambuco dice che la macchina dell'uomo era una BMW scura. La famiglia Meneguzzi possedeva due auto e nessuna delle due era una BMW.

Ma non è finita qua. L'astutissimo Mentana e i suoi giornalisti hanno anche considerato che "mercoledì 22 giugno 1983 lo zio Mario non era lontanissimo, come asserisce Pietro per dimostrare che l'uomo dell'identikit non possa assolutamente essere Meneguzzi. La casa di vacanza della famiglia, in provincia di Rieti, dista 90 chilometri da Roma, poco più di un'ora di macchina".

A dire la verità, oggi, per andare da Piazza Madama a Torano di Borgorose (il paese del reatino dove la famiglia Meneguzzi era in vacanza) bisogna fare circa un centinaio di chilometri, impiegando 1 ora e 24 minuti... escludendo però il traffico. Chi lo dice? Google Map. Quindi, per andare da Torano a Roma, il Meneguzzi avrebbe dovuto partire nel pomeriggio. La ragazza è scomparsa alle 19:30. Poi il Meneguzzi avrebbe dovuto tornare a casa intorno alle 21:30, senza contare il tempo che avrebbe dovuto impiegare per sostituire la macchina e quello che avrebbe dovuto dedicare ad Emanuela.

Pertanto, considerando che Sica indagò sullo zio, la famiglia avrebbe potuto nascondere questa assenza di ore  prima, durante e dopo il periodo in cui Emanuela Orlandi è stata rapita?

Certo, se il "fact checking" di Mentana è quello che ci ha proposto nei due servizi sulla vicenda Orlandi, non è che si possa parlare, nel suo caso, di giornalismo investigativo, quanto piuttosto di giornalismo creativo!

Eh beh, ma c'è un'incongruenza, in quanto detto da Pietro Orlandi in conferenza stampa, che non può non essere evidenziata: "Pietro ha negato che l'avvocato Egidio, la cui parcella fu addebitata al Sisde, fosse stato scelto dallo zio. Ma come riporta sul Corriere della Sera del 28 luglio dell'83 uno dei giornalisti più esperti della vicenda, Andrea Purgatori, fu lo stesso Meneguzzi a dichiarare di aver nominato Egidio: 'Lo ritengo più adatto a questo genere di cose del mio legale abituale, l'avvocato Adolfo Gatti'."

Dando per scontato che tale ricostruzione sia vera - almeno una! - come si riallaccia con il fatto che Meneguzzi possa essere il responsabile del rapimento di Emanuela? Boh! Mentana non ce lo fa sapere... troppo sforzo pure per la sua fantasia... nonostante ne abbia da vendere.

Cosa resta da capire in questa triste storia? Chi sia il "mandante" di Diddi, se Bergoglio sia regista o vittima della vicenda, così come Francesco Lo Voi, che indaga per conto della Procura di Roma. Non è che conoscere questi tasselli potrà portare alla verità sul caso Orlandi, ma ci farà però avere ancor più consapevolezza di quanto sia imbarazzante, e pertanto da nascondere, anche tale verità... in Italia oramai ci abbiamo fatto l'abitudine.