Ieri i ministri dell'agricoltura dei Paesi membri riuniti a Bruxelles al Consiglio AGRIFISH hanno discusso un punto messo all'ordine del giorno da Austria, Italia e Francia sulla carne coltivata e le proteine alternative. La nota congiunta discussa a Bruxelles si concentrava sulla richiesta di modifiche chiave al processo di approvazione normativa dell'UE per la carne coltivata, con lo scopo esplicito di renderne più difficile il processo di introduzione sul mercato. 

In particolare, i tre Paesi - a cui si sono aggregati anche altri Stati membri dove le associazioni di categoria di agricoltori e allevatori sono molto forti - chiedono alla Commissione di presentare una valutazione sull'impatto della carne coltivata prima di qualsiasi autorizzazione normativa, oltre a una consultazione pubblica, una modifica del processo di approvazione e il divieto dell'uso del termine carne, nonostante si tratti a tutti gli effetti di carne.

Queste richieste presentate nel documento si basano su una serie di informazioni che sono fuorvianti, inesatte e in alcuni casi del tutto false, come già ampiamente illustrato dalla scheda informativa diffusa da Cellular Agricolture Europe / GFI

Ad esempio viene affermato che la carne coltivata non sarebbe più ecologica di quella convenzionale, in quanto genera fino a 25 volte più CO2 equivalente per chilogrammo di carne prodotta. Il dato citato nella nota proviene da uno studio del CLEAR center della University of California, Davis, finanziato dall'industria della carne. L'utilizzo di questo studio è parte di una campagna di disinformazione che viene da mesi presentato come affidabile nonostante non sia stato ancora sottoposto al processo di peer-review, un passaggio fondamentale per quanto riguarda gli studi scientifici. 

In realtà, se prodotta con energia rinnovabile, la carne coltivata potrebbe ridurre l'impatto climatico della carne fino al 92%, l'inquinamento atmosferico fino al 94% e utilizzare fino al 90% in meno di terreno rispetto alla carne bovina. E ad affermarlo è uno studio, in questo caso, peer-reviewed.

La nota mette inoltre in discussione l'attuale processo per l'autorizzazione dei cosiddetti novel foods, nonostante il quadro normativo attuale sia in realtà tra i più solidi al mondo, con un'attenzione rigorosa alla trasparenza e alla sicurezza dei consumatori. Il processo di approvazione dei prodotti a base di carne coltivata richiederà almeno 18 mesi e i tentativi di imporre barriere o di limitare la capacità della carne coltivata di arrivare sul mercato — prima che l'EFSA abbia avuto l'opportunità di esaminarne la sicurezza — minerebbero invece la legislazione alimentare vigente nell'UE. Inoltre, non terrebbe conto della ricerca sulla sicurezza di questo alimento già realizzata, come lo studio dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO).

Un'altra affermazione a dir poco paradossale presente nella nota è che la carne coltivata non prevedrebbe standard di benessere animale più elevati rispetto alla carne convenzionale. La dichiarazione fa riferimento al siero fetale bovino, utilizzato in passato per coltivare le cellule — e nel frattempo superato da formulazioni a base vegetale — e omette il dato che nei macelli europei vengano uccisi 8,4 miliardi di animali ogni anno (escludendo i pesci). 

Il documento parla inoltre di un rischio elevato di monopolio da parte di pochi produttori industriali su larga scala, che produrrebbero carne coltivata ai danni dei piccoli allevatori con aziende a conduzione familiare. Al contrario, aziende di ogni forma e dimensione possono decidere di dedicarsi a questa produzione, a patto che i governi finanzino la ricerca open-access, anziché lasciare l'innovazione nelle mani di aziende private.

«Sul tema della carne coltivata e delle proteine vegetali la lobby dell'industria zootecnica sta portando in Unione Europea la stessa disinformazione che negli ultimi anni abbiamo visto circolare in Italia. Evidente il contrasto tra l'atteggiamento ragionevole ed equilibrato di Germania, Danimarca e Paesi Bassi di ieri a fronte di quello a dir poco paradossale del ministro Lollobrigida che insieme a Francia e Austria chiede a Bruxelles un approccio scientifico e trasparente, mentre in Italia ha introdotto un divieto basato su una visione ideologica e del tutto anti-scientifica sul tema, difendendo gli interessi delle aziende del comparto zootecnico ai danni del settore delle proteine vegetali, molto più rispettoso dell'ambiente e degli animali. Senza dimenticare che in Italia il dibattito è stato soffocato in Parlamento senza dare accesso a tutti gli stakeholder alle consultazioni presso le Commissioni parlamentari competenti e arrivando addirittura all'aggressione di due parlamentari», ha affermato Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere Animali.



Fonte: Ufficio Stampa Essere Animali - essereanimali.org