"Ho giocato a calcio per molti anni. Avrei voluto fare il calciatore professionista. Speravo e sognavo. Poi capii che la mia passione era inversamente proporzionale al talento. Ero riuscito a laurearmi, insegnavo alla medie di Gorizia. La Rai di Trieste organizzò un concorso per programmista. Non si presentò nessuno e mi invitarono a partecipare in quanto giovane laureato. Uno dei membri della commissione era Paolo Valenti: mi aveva visto giocare, mi aveva notato. Per l’altezza, non certo per la bravura. Fu lui a dirottarmi sul concorso per radio-telecronisti. Beh, venni assunto, con mia somma sorpresa e così cominciò una carriera inaspettata. Nel calcio di oggi mi pare ci sia una eccessiva presenza di parole. Noi venivamo accusati di parlare troppo quando la telecronaca era fatta da una sola persona mentre oggi sono coinvolti tre o quattro cronisti. Sono tutti bravi, specie sotto il profilo tecnico tattico. Non condivido però la tendenza a spettacolarizzare al massimo il commento, con il rischio calcolato di sovrapporre il protagonismo del telecronista ai veri protagonisti in campo. Il vero telecronista è un po’ come il buon arbitro, meno se ne parla e meglio è, altrimenti diventano dei personaggi ingombranti e poco utili."

Lo stile pacato, garbato, mai sopra le righe; il linguaggio ricercato ma fruibile a tutti ed una voce calda e nasale allo stesso tempo che lo rendeva inconfondibile. Ha accompagnato gli appassionati calciofili per oltre un trentennio divenendo a pieno titolo uno dei telecronisti più iconici ed amati di sempre.

L'8 marzo compie gli anni un monumento del giornalismo sportivo italiano.
Auguri a Bruno Pizzul.