Vai alla parte precedente... - La giornata di ieri, quindi,  non assolve per nulla il ventennio berlusconiano dalla sue responsabilità, i cui effetti sono ormai irreversibili: la progressiva pauperizzazione della cosa pubblica (istruzione, sanità, cultura) ridotta ad estensione di quella privata; l’arricchimento personale come fine ultimo di tutti gli orizzonti, con le sue tentazioni edonistiche e privatistiche (al punto da far cadere la secolare distinzione tra comportamenti pubblici e privati) divenute nuovi modelli di comportamento e relazione sociale; l’universo femminile ridotto a orpello solleticante e servile della sessualità maschile; le diversità di genere schernite e di cui al massimo avere sarcasticamente pietà; la commercializzazione e la degradazione della cultura e delle persone, come propaggini replicanti del messaggio pubblicitario; l’imperativo edilizio e imprenditoriale e la loro deviazioni morali ed abusiviste  (ricordiamo tutti gli imprenditori che ridevano degli affari che avrebbero fatto con il terremoto dell’Aquila); la progressiva trasformazione populista della società; le amicizie internazionali “impresentabili”, vissute come private  ma imposte pubblicamente; l'idiosincrasia verso le istituzioni statali, la delegittimazione delle tasse come bene comune;  la transumanza femminile e modana davanti a Villa San Martino e potrei continuare per ore…

Mi ci sono voluti anni di elaborazione ai confini della depressione e libri come “The New Italians” di Charles Richards, o “Post italiani” di Edmondo Berselli, per riuscire a comprendere quello che stava accadendo a questo malcapitato paese. Sono cresciuto all'estero (Belgio) sotto l'era Andreotti e fino all'inizio di quella di Craxi, al culmine della violenza tra stato e antistato (l'omicidio Moro) e la collusione mafiosa di una consistente parte dell'ambiente politico. Già allora soffrivo, seppur appena ragazzino, dell'immagine del nostro paese all'estero, liquidato con un solo e contundente appellativo: mafioso. Lo stesso sentimento di imbarazzo e vergogna che devono aver provato coloro che, invece, hanno vissuto all'estero nel ventennio berlusconiano.  Solo dopo, abbiamo tutti preso coscienza della gravità del fenomeno e del fatto che con Berlusconi non saremmo mai più tornati indietro.

Ed eccoci qui oggi, in un paese culturalmente e moralmente devastato, dove sopravvivono solo per imperversare,  le schegge letali dell’arroganza privata (dall’abitacolo delle macchine, anch’esse divenute ipertrofiche fino a invadere tutto lo spazio pubblico), del malcostume, dell’intolleranza e del confronto sociale permanente come simulacro dell’estinta (o forse mai nata) competizione. Questa è l’Italia di oggi! Per quella di domani se la vedranno i ragazzi. La sua figura è stata così pesante anche negli ultimi mesi, da riuscire a fermare o confondere un paese rispetto alle sue priorità sociali quando è riuscito a monopolizzare, occupare e rallentare un ospedale come il San Raffaele di Milano in mesi in cui il privato cittadino gira ancora disorientato dallo sbando sanitario dovuto all'inceppamento burocratico post-covid.  Anche questo è scandaloso. Quanti di noi godrebbero dello stesso trattamento?

E qui arrivo all’ultimo aspetto,  del tutto personale,   che poi è il vero motivo di quest'articolo. E' un aspetto che mi turba profondamente e mi fa vergognare perché in totale contraddizione con il sentimento di indignazione che questa destra populista e il suo fondatore hanno sempre provocato in me. Ieri, al termine del funerale di stato ho provato invece un senso di vuoto, frammisto di malinconia, tristezza e rabbia. Sono forse pazzo? C’è qualcuno che come me, avendo sempre avversato l’era berlusconiana e le sue derive, abbia provato questo tipo di sentimento? Se qualcuno ne ha provato uno che vagamente si avvicini a questo, lo manifesti, e se qualcuno invece ne ha provato uno identico, mi farà sentire meno solo nella mia lucida follia. Si perché ho provato tristezza, molto vicina al pianto, per l’uomo che se ne va con tutto ciò che ha rappresentato. Da cosa può dipendere? Dalla compassione, di cui ho detto pocanzi? Ma è la stessa che ho provato contemporaneamente per Francesco Nuti, morto lo stesso giorno del funerale di stato, per Flavia Prodi, per le centinaia di migranti morti a largo del Peloponneso e per le persone che ogni giorno, tra amici, parenti e conoscenti, muoiono negli ospedali. E allora? Che cosa mi ha portato a questo sentimento di perdita, che non avrei mai pensato di provare? Qualche risposta ho cercato di darmela: 

forse per l’esasperazione mediatica e il piangi pluvio collettivo pressoché istantanei che hanno come cristallizzato il paese in una specie di sospensione schizofrenica? Forse perché non riesco a scindere l'essere umano dal politico? Forse perché avendo vissuto tutta la gioventù nell’era berlusconiana, con la fine di questa è andata definitivamente perduta anche la mia gioventù, nel bene e nel male? Forse perché come figlio di ottuagenari sono entrato in empatia, forzata anche dal clamore mediatico dell’evento, con i suoi figli e familiari? Guardando, poi, ai macrosistemi, forse perché è un pezzo di storia, di cui sono stato protagonista, spettatore e vittima, che se ne è andato per sempre, lasciandomi/ci nella solitudine di un futuro non più radioso così come ci era stato venduto negli amati e odiati anni ‘80  , ma anzi ricolmo di disastri annunciati? O forse perché anch’io, esule di quella stagione di ubriacatura ed euforia generale  sono stato rapito inconsapevolmente dal miraggio di massa dell’uomo della provvidenza di italica stortura che condensa a sé tutti i vizi e le virtù (più vizi che virtù) di un popolo avvolto dal senso di colpa, dall'ossessione per l'imprenditore di successo, dalla favola del donnaiolo immarcescibile, dell’inguaribile ottimista, dell'uomo che non invecchia mai (a costo che la plastica sostituisca gradualmente i tessuti biologici),  del venditore della porta accanto, del viveur che non sbaglia una cravatta e una battuta, del liberista senza la gogna etica del calvinismo sociale, dell’edonista ipertrofico, del libertino senza pudore, del fanciullo dell’album Panini ecc…? Queste locuzioni possono suonare come stereotipi, perché le virtù le ha avute anche lui e gli vengono riconosciute da una parte del popolo, come quella che lo vuole il geniale imprenditore di migliaia di lavoratori e un'impresa stabile.

Tutto quello che si vuole, ma la mia domanda, del perché io abbia provato quel sentimento così profondo, o forse è meglio continuare a definirlo emozione, un’emozione dal sapore intimo e familiare per un uomo, politico e imprenditore, che nemmeno conoscevo, e che ho sempre avversato  come elettore di centro sinistra e cittadino, rimane aperta? Questo, però non mi ha certo  indotto a celebrare il lutto nazionale, né a cospargere il mio capo di cenere, né a riscrivere la storia sotto l’urto del senso di colpa, né tanto meno a beatificarlo come hanno fatto alcuni giornalisti nelle ultime ore, questo no!  

Quello che è certo è che ieri si è voltata pagina. Sono contento che la persona che dirige attualmente il partito che voto abbia aiutato, con quel gesto rispettoso e di sensibilità umana e politica, a voltare la pagina finale di un libro così pesante, per certi versi prepotente quanto voluminoso e logoro quanto divisivo, di un uomo, di un politico e di un paese, uniti per un attimo in un surreale destino, con buona pace di Berlusconi, a cui auguro comunque un buon viaggio!

P.S.: il giorno dopo il mio articolo, dopo il gesto educato e rispettoso di Elly Schlein, la macchina del fango del Giornale, Libero, e la Verità, è già ricominciata con l'accusa a Schlein di odio verso Berlusconi...E la storia ricomincia?