Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, all'unanimità, il 22 dicembre ha votato nuove sanzioni contro la Corea del Nord in seguito al test missilistico effettuato da Pyongyang lo scorso 29 novembre.

Le nuove restrizioni prevedono un ulteriore diminuzione alle importazioni di petrolio da parte della Corea del Nord, con un tetto massimo annuale di 4 milioni di barili per il greggio e di 500mila barili per quello raffinato. Inoltre, entro 24 mesi, tutti i nordcoreani che lavorano all'estero dovranno essere rimpatriati. Infine, ulteriori restrizioni sono state imposte in relazione all'importazione e all'esportazione delle merci.

Mentre le precedenti restrizioni erano state definite da Pynogyang come la volontà di commettere un genocidio nei confronti del popolo nordcoreano, stavolta sono stati gli stessi commentatori occidentali a far presente che l'attuale scelta non potrà non avere conseguenze pesanti sulla produzione di beni, sul trasporto, sulla possibilità di avere energia elettrica e riscaldamento.

Finora, le sanzioni fin qui imposte alla Corea non hanno impedito a Kim Jong Un, o chi per lui, di continuare ad effettuare test di missili balistici. Pertanto, è da vedere se le nuove sanzioni potranno ottenere adesso quello che non è stato possibile ottenere in passato.

Inoltre, a questo punto, non è neppure illogico chiedersi se gli Stati Uniti, primi sostenitori della politica di inasprimento delle sanzioni verso la Corea del Nord, non stiano pensando che questa possa essere la chiave per spingere Pyongyang ad un'azione militare contro Washington od uno dei suoi alleati, per avere poi la giustificazione di una risposta militare.

Fantapolitica? Complottismo? Antiamericanismo? No, si tratta di puro e semplice realismo. Questa possibilità darebbe agli Stati Uniti di estendere la propria influenza militare e politica nell'area e darebbe respiro a Trump in difficoltà nelle questioni di politica interna che, naturalmente, diventerebbero subito questioni di secondo piano.

Una novità? Anche in questo caso la risposta è negativa. Lo storico americano Charles Austin Beard, nello scorso secolo, sosteneva che Roosevelt fece tutto quello che era nelle sue possibilità per costringere il Giappone a dichiarare guerra agli Stati Uniti. Gli Usa, infatti, impedirono al Giappone di approvvigionarsi del petrolio di cui aveva bisogno, negando al tempo stesso qualsiasi dialogo diplomatico con quel Paese.

Certamente queste sono solo ipotesi, forse impossibili da dimostrare a meno di non venire in possesso di documenti "top secret", però utili per iniziare a chiederci se possa esistere, escludendo l'opzione militare, una strada diversa da quella delle sanzioni economiche per riportare una nazione alla ragione, anche in considerazione del fatto che le sanzioni finiscono per colpire prima di tutto la popolazione di una nazione e non certo i governi e le personalità che li compongono.