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Come in molti processi che si rispettino, arriva però l’asso nella manica: un signore che non vogliamo nominare ( ma in televisione se ne fa un cognome, e lo fa anche Abbate), chiamiamolo Mister X. Costui, pregiudicato per truffa, ricettazione e calunnia (fonte, sempre Abbate), sedicente agente segreto al servizio del generale Pollari (attività mai provata), forte accento genovese, accusa Furchì, suo compagno di cella in attesa di giudizio, di aver confessato il delitto, avergli rubato nell’armadietto, aver defecato e urinato in cella e sulle sue cose; di non aver ricevuto riscontro dalle guardie carcerarie a cui indirizzava le sue proteste e i rapporti: di fatto, in aula, ne ascoltiamo e vediamo una, che nega sostanzialmente le affermazioni di Mister X.

Ci rivolgiamo infine alla difesa, un team che ha tentato ogni strada, segnatamente una che spicca nei rari momenti in cui “Un giorno in Pretura” ne riporta le argomentazioni. La Polizia sostiene di aver controllato i tracciati telefonici dei gestori di locali ai Murazzi, e nessuno era nei pressi del luogo del delitto quel giorno; come se, fa notare uno dei difensori, chi parte per ammazzare, facesse la cortesia di portarsi dietro il cellulare: errore forse da anni novanta, non da 2012, e non da parte di un esperto malintenzionato. Sappiamo poi dove fossero, questi portatili di proprietari di pub, buttafuori e compagnia? Perché se non erano nei paraggi, ma spenti, varrebbe la stessa presunzione di innocenza anche per Furchì, il cui apparecchio si collega e collega varie volte nella giornata, forse a seconda del ripetitore o di altre capriole connettive di questi infernali dispositivi che ormai non ci danno scampo. 

Non siamo esperti della topografia torinese, e nulla possiamo analizzare riguardo il tragitto dalla sede di Magna Grecia al luogo del delitto, che per molti non era percorribile ai piedi nei tempi forniti, né si è mai sentito che Furchì si fosse mosso in motorino ( come suggerito dalla stessa vittima in agonia pre - coma), che infatti non è inquadrato da nessuna parte.

E la pista politico/sociale? Quelle posizioni pro TAV, così impopolari al tempo? Sarà stato anche difficile venirne a capo, ma si è indagato in quella direzione? La faccenda è sempre in primo piano ad oggi, tutt’altro che risolta, e ogni tanto rigurgita in cronaca: “No TAV, arrestato a Bussoleno, in Val di Susa, Stefano Milanesi, ex terrorista di Prima Linea e attivista No Tav. Ai domiciliari, deve scontare una pena di 5 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, reato commesso il 17 settembre 2015 durante una protesta al cantiere della Torino-Lione. Negli anni Ottanta Milanesi faceva parte di una colonna di Prima Linea che proprio in Val Susa aveva creato la sua base. È ritenuto un No Tav della prima ora; Milanesi ha infatti aderito al movimento sin dall'inizio della lotta alla nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità. Il Messaggero.it, 17 settembre 2020.

 Infine l’accusa sciorina una squadra di esperti in antropometria i quali in aula ci mostrano, frame dopo frame, come il misterioso “uomo col casco” avesse la stessa struttura fisica e camminata (una spalla più bassa dell’altra, una impercettibile zoppia) dell’imputato: il quale, aggiungiamo noi, non pago di quel travisamento, cammina con un nastro adesivo sulla bocca, forse in pendant col fantasmatico complice in mascherina visto dopo. Non sappiamo come si respiri con un adesivo a sigillare le labbra, in procinto di uccidere, presumibilmente in stato emozionale, ingabbiati da un cappottone e un vistoso casco da motociclista, ma si deve essere davvero determinati e con un fisico bestiale…