La Scuola elementare Maria Montessori ed il signor Pietro Ferracci, proprietario di un bed & breakfast, avevano fatto ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea chiedendo l'annullamento della decisione della Commissione Ue del 19 dicembre 2012 e della sentenza del Tribunale Ue del 2016 che sancivano l’impossibilità di recuperare l'imposta comunale sugli immobili (Ici), la cui esenzione relativa ad enti non commerciali, come scuole, cliniche e alberghi - tra i quali quelli appartenenti a confessioni religiose riconosciute dallo Stato italiano (quindi anche alla Chiesa cattolica, ma non solo) sia quelli legati al no profit - era stata ritenuta illegittima, a causa di difficoltà organizzative per il recupero di tali importi.

Stavolta, però, la Corte di giustizia dell’Unione europea, riunitasi in Grande Chambre, ha deciso di annullare quanto stabilito in precedenza, sostenendo che, "tale decisione li ha posti [riferendosi ai soggetti che avevano fatto ricorso] in una situazione di svantaggio concorrenziale rispetto agli enti ecclesiastici o religiosi situati nelle immediate vicinanze che esercitavano attività simili alle loro e potevano beneficiare delle esenzioni fiscali in questione".

E adesso, lo Stato italiano ha il dovere di recuperare le somme eventualmente dovute in relazione all'Ici per il periodo 2006-2011. Secondo alcuni, si tratterebbe di un importo quantificabile in una cifra che potrebbe raggiungere anche i 5 miliardi di euro.

Per la Cei è stato il segretario Generale, Mons. Stefano Russo, a riassumere la posizione dei vescovi italiani. Queste le sue parole:

«Le attività sociali svolte dalla Chiesa cattolica trovano anche in questa sentenza un adeguato riconoscimento da parte della Corte di Giustizia Europea. La Corte, infatti, conferma la legittimità dell’IMU – introdotta nel 2012 – che prevede l’esenzione dell’imposta, quando le attività sono svolte in modalità non commerciale, quindi senza lucro.

La sentenza odierna rileva che la Commissione avrebbe dovuto condurre una verifica più minuziosa circa l’effettiva impossibilità dello Stato italiano di recuperare le somme eventualmente dovute nel periodo 2006-2011.

Le attività potenzialmente coinvolte sono numerose e spaziano da quelle assistenziali e sanitarie a quelle culturali e formative; attività, tra l’altro, che non riguardano semplicemente gli enti della Chiesa.

Abbiamo ripetuto più volte in questi anni che chi svolge un’attività in forma commerciale – ad esempio, di tipo alberghiero – è tenuto, come tutti, a pagare i tributi. Senza eccezione e senza sconti.

Detto questo, è necessario distinguere la natura e le modalità con cui le attività sono condotte.

Una diversa interpretazione, oltre che essere sbagliata, comprometterebbe tutta una serie di servizi, che vanno a favore dell’intera collettività.»

In teoria, la Cei parrebbe accettare la sentenza, ma in pratica sembra affilare le armi in relazione alla "natura" e alle "modalità" con cui alcune "attività", senza specificare quali, sarebbero gestite. Nella sostanza è un rimandare la palla in campo avverso, aspettando eventuali decisioni da parte del Governo e degli enti locali... semmai qualcuno decidesse prima o poi di rendere esecutiva la sentenza. In quel caso, però, scuole cattoliche e comunità religiose che svolgono attività di accoglienza, c'è da giurarci, faranno sentire la loro protesta.