Nessuno ha dimenticato Salvatore Antonio, detto Rino Gaetano, nato a Crotone il 29 ottobre 1950, nessuno, nemmeno chi è nato molto tempo dopo la sua morte, avvenuta il 2 giugno 1981; perché i nostri ricordi sono composti anche dal futuro, da quello che ci hanno trasmesso e nascerà dentro di noi improvvisamente, quando meno ce lo aspettiamo.

Il ragazzo, esile e un po’ timido, presto si trasferisce a Roma con la famiglia, genitori e una sorella, e con l’accento capitolino lo abbiamo conosciuto, anche se meno marcato di quello (con una strizzata d’occhio alle borgate) del furbo Antonello Venditti,  figlio di un prefetto e di una preside, o di un Francesco De Gregori, ricercato ed etereo sperimentatore di testi nonsense, per accennare appena a una comparazione con due cantautori coetanei e allevati nel mitico Folkstudio, dove pare sia cresciuta la crème dei pop singer della capitale.

Quando Rino si affaccia alla ribalta, secco, malinconico con lampi di sorriso mai troppo concessi, è già configurato come “contro”, anche se non schierato politicamente come altri citati, né arrabbiato e sfanculante come il partenopeo chic Edoardo Bennato, ma neppur troppo d’avanguardia.

Potremmo citare i suoi testi, i titoli, i tormentoni, ma lo riteniamo superfluo, tutti li conoscono e l’era social ha contribuito a diffonderli nuovamente, insieme alla sua immagine eternamente giovane suo malgrado.

E’ quello che hanno detto e scritto di lui negli anni a seguire la sua scomparsa, che ci ha fatto riflettere: non tanto nel ventennio successivo, quanto nel nuovo millennio. Lo abbiamo inquadrato anche secondando le nostre personali memorie, che ci cullano sovente al suono di uno dei suoi brani meno passati, “Sei ottavi”.

Sull’onda della canzone “Nuntareggae più”, Maurizio Costanzo lo invitò nel suo programma allora in RAI, sbattendolo in faccia nientemeno che a Susanna Agnelli e sfottendolo pesantemente: bollandolo, in sostanza, come finto fustigatore di costumi, sotto lo sguardo condiscendente della augusta ospite.

Rino passò anche sotto l’affilata lama di Gianni Boncompagni il quale prima sembrò favorirlo chiedendogli la sua fonte d’ispirazione; quando l’ingenuo cantautore rispose “Ionesco e Majakowskji”, il futuro scopritore di ninfette per “Non è la Rai” lo dileggerà pesantemente a sua volta.

Nei documentari e  speciali andati in onda, molti si fregiano di esserne stati sodali, collaboratori, fratelli elettivi, ma la sorella Anna ama citare soltanto Sergio Bardotti.

La sua fidanzata appare poco nelle cronache, eppure era sua prossima sposa; la fiction su Rino descriverà una situazione complicata, con sentimenti contrastanti: e chi non ne ha?

Anna si arrabbia quando pensa al finale di quello sceneggiato, con Rino ( interpretato da Claudio Santamaria) che guida attaccato alla bottiglia, primo dello schianto fatale alle 3,55 sulla Nomentana, dopo che un precedente sinistro lo aveva lasciato illeso. Fu proprio Venditti a fare pesanti allusioni alle condizioni un po’ “lisergiche” che avrebbero rovinato molti colleghi in quel periodo e ne seguì perfino uno strascico giudiziario, poi archiviato: perché Anna Gaetano non ci sta.

Così nel 2020, in occasione dell’anniversario della morte dell’amato fratello (“il mio quarto figlio”) Anna ha rilasciato interviste in cui ribadisce che non ci fu alcun complotto ai danni di Rino, che non è vero che gli ospedali lo rifiutarono e lui avrebbe potuto salvarsi: fu una tragica fatalità. E di più, ha dichiarato una volta, circa “ se potessero ridarmelo, vorrei crederci”, alludendo alle ipotesi di omicidio ordito dai poteri forti, irritati dai testi del rimpianto cantautore.

Rino è vivo, nell’isola che non c’è: quella dove mettiamo tutti quelli che abbiamo amato troppo e non vogliamo lasciar andare.