In una società civile e democratica, tragedie come quella che ha coinvolto Ramy dovrebbero essere momenti di riflessione collettiva, non occasioni per fomentare divisioni e strumentalizzazioni. Eppure, l’Italia è da giorni teatro di un acceso dibattito pubblico che, anziché focalizzarsi sui valori fondamentali della vita e del rispetto delle regole, sembra orientato a cercare colpevoli, spesso in maniera pregiudiziale, all’interno delle forze dell’ordine e del governo in carica.

Quando si perde una vita, non importa chi sia la vittima: il mondo dovrebbe fermarsi per un momento, unire il pensiero collettivo in un minuto di silenzio e ricordare che il rispetto per la vita umana è un principio universale, indipendente da sesso, etnia o credo religioso. Tuttavia, un approccio maturo e civile al dolore richiede anche di evitare che l’indignazione legittima per un tragico evento si traduca in una caccia alle streghe contro le forze dell’ordine, criminalizzandole per aver svolto il loro dovere: garantire la sicurezza dei cittadini.

La dinamica dell’incidente che ha causato la morte di Ramy è ormai nota: due giovani in sella ad una moto non si sono fermati all’alt intimato dai Carabinieri. Non solo. Hanno proseguito la loro fuga ignorando le autorità, costringendo i militari ad un inseguimento durato chilometri. Questa fuga ha creato una situazione di pericolo, culminata con un incidente dalle conseguenze tragiche.

A questo punto, è doveroso porsi una domanda cruciale:

se i due giovani non avevano nulla da nascondere, perché sono scappati? Perchè non si sono fermati al primo Alt del posto di blocco? Perchè hanno proseguito la loro fuga per bene otto chilometri con le sirene dei carabinieri che gli correvano dietro?
Le forze dell’ordine hanno il compito di applicare la legge, un mandato che non ammette compromessi. In qualsiasi parte del mondo, ignorare un posto di blocco implica una reazione codificata: l’inseguimento dei fuggitivi. Non è una scelta arbitraria, ma l’attuazione di un protocollo volto a tutelare la sicurezza di tutti. Pensare che i Carabinieri avrebbero dovuto lasciare andare i ragazzi indisturbati non solo sarebbe una resa dello Stato, ma costituirebbe un pericoloso precedente che minerebbe la credibilità delle istituzioni.

La tragedia di Ramy è dolorosa, ma occorre analizzarla senza cadere nel populismo emotivo.

Il lavoro delle forze dell’ordine non è privo di rischi e responsabilità. Ogni inseguimento, ogni operazione, porta con sé il potenziale di eventi imprevisti, compresi quelli tragici. Tuttavia, giudicare retroattivamente l’operato dei Carabinieri come se fosse frutto di un intento doloso o di negligenza è un errore che rischia di minare la loro credibilità e, più in generale, la fiducia nelle istituzioni.

Le critiche indiscriminate, spesso alimentate da un populismo emotivo che non tiene conto della complessità di situazioni come queste, possono avere conseguenze gravi. Se passasse il messaggio che chi indossa una divisa è automaticamente sospettabile di abuso, le forze dell’ordine potrebbero trovarsi in futuro paralizzate dall’incertezza, con ricadute sulla pubblica sicurezza.

La morte di Ramy è una tragedia che non può e non deve essere minimizzata. Il dolore della sua famiglia merita rispetto, così come merita rispetto la necessità di accertare eventuali responsabilità. Tuttavia, è fondamentale distinguere tra la richiesta legittima di giustizia e l’istinto di trasformare questo evento in un processo sommario contro le forze dell’ordine.

Un equilibrio tra emozione e razionalità è indispensabile per evitare che casi come questo diventino ferite permanenti nel tessuto sociale del Paese. Il dolore deve essere accolto, le responsabilità accertate, ma il rispetto per chi tutela la sicurezza pubblica deve rimanere un caposaldo del vivere civile.

Solo un approccio basato sull’equilibrio, sul dialogo e sul rispetto delle regole può garantire che tragedie come quella di Ramy non vengano strumentalizzate per alimentare divisioni ideologiche. Dobbiamo sostenere un dibattito che non perda mai di vista i valori fondamentali: il rispetto per la vita, il riconoscimento del ruolo delle forze dell’ordine e la capacità di affrontare il dolore con maturità e razionalità.

In un mondo sempre più polarizzato, la sfida è mantenere viva la fiducia nelle istituzioni, ricordando che esse sono il pilastro di una società giusta e sicura.