Omelia di Papa Francesco nella Solennità dell'Epifania

Alle ore 10 di questa mattina, Solennità dell’Epifania del Signore, Papa Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica di San Pietro.

L’omelia di Papa Francesco, nel fantastico scenario della Basilica, ha preso sempre più la caratteristica fondamentale del pensiero di questo Papa:  passare subito a “mettere il dito nella piaga” delle questioni che attanagliano la società, in particolare quella occidentale.

Per Francesco è necessario ricominciare a desiderare, a riaprirsi alla curiosità perché sono “i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene. “La nostra vita – diceva Sant’Agostino – è una ginnastica del desiderio» (Trattati sulla prima Lettera di Giovanni, IV, 6)”.

Il Papa ha citato Aurelio Agostino d'Ippona, padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, detto anche Doctor Gratiae ("Dottore della Grazia"). Proprio quell'Agostino che  operò una prima distinzione fra il male fisico del corpo e il male morale dell'anima, legato al peccato, superando, in tal modo, una convinzione diffusa nel periodo precedente, che concepiva la malattia e il dolore come una conseguenza e una sorta di punizione divina delle azioni umane: il male non è concepibile da parte di Dio, mentre lo è da parte dell'uomo, che può attuarlo poiché è creato libero, "a immagine e somiglianza di Dio", come afferma la Genesi.

E rivolgendosi al clero e ai fedeli  il Papa ha sottolineato: “Fratelli e sorelle, come per i magi, così per noi: il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. A volte noi viviamo uno spirito di “parcheggio”, viviamo  parcheggiati,  senza  questo  slancio  del  desiderio  che  ci  porta  più  avanti.  Ci  fa  bene chiederci:  a  che  punto  siamo  nel  viaggio  della  fede?  Non  siamo  da  troppo  tempo  bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa? È triste quando  una  comunità  di  credenti  non  desidera  più  e, stanca,  si  trascina  nel  gestire  le  cose invece che lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo. È triste quando un sacerdote ha chiuso la porta del desiderio; è triste cadere nel funzionalismo clericale, è molto triste.   La  crisi  della  fede,  nella  nostra  vita  e  nelle  nostre  società,  ha  anche  a  che  fare  con  la scomparsa  del  desiderio  di  Dio.  Ha  a  che  fare  con  il  sonno  dello  spirito,  con  l’abitudine  ad accontentarci  di  vivere  alla  giornata,  senza  interrogarci  su  che  cosa  Dio  vuole  da  noi.  Ci  siamo ripiegati troppo sulle mappe della terra e ci siamo scordati di alzare lo sguardo verso il Cielo; siamo sazi di tante cose, ma privi della nostalgia di ciò che ci manca. Nostalgia di Dio. Ci siamo fissati sui bisogni, su ciò che mangeremo e di cui ci vestiremo (cfr Mt 6,25), lasciando evaporare l’anelito per ciò che va oltre. E ci troviamo nella bulimia di comunità che hanno tutto e spesso non sentono più niente nel  cuore.  Persone chiuse, comunità chiuse, vescovi chiusi,  preti  chiusi, consacrati  chiusi. Perché la mancanza di desiderio porta alla tristezza, e all’indifferenza. Comunità tristi, preti tristi, vescovi tristi”.

Papa Francesco rimarcando lo stato in cui si trova la Chiesa, soprattutto in Occidente, costituita spesso da “Comunità tristi, preti tristi, vescovi tristi” ha ripreso un altro tema agostiniano, cioè quello che alla Verità l'uomo aderisce innanzitutto con il suo modo di vivere. Bisogna superare le società spinte alla bulimia, a volere tutto senza accontentarsi più di nulla e che spesso non sentono più niente nel cuore. Un grande messaggio e, nella Solennità dell’Epifania, un richiamo anche al dono, a quanto viene dato per pura liberalità, per concessione disinteressata o abnegazione.