Quando alcuni politici esaltano le fantastiche riforme che, secondo loro, avrebbero trasformato l'Italia in un quasi Paese di Bengodi, prima di parlare, dovrebbero fare i conti con la realtà dei fatti.

La fondazione Di Vittorio, ad esempio, in relazione alle politiche sul lavoro, ha da tempo ricordato che i risultati sull'occupazione, ritenuti da alcuni positivi, devono però tener conto anche delle ore lavorate. Dato che il loro numero è nettamente più basso rispetto al passato, significa che il lavoro di cui alcuni parlano è caratterizzato soprattutto da lavoretti, spesso mal pagati.

A scanso di equivoci, questa evidenza la mette in luce anche il rapporto settimanale della Cgia di Mestre che ci informa che sono 592 mila gli addetti che nel 2017 hanno lavorato per meno di 10 ore alla settimana. Di questi, 389mila hanno prestato servizio come lavoratori dipendenti e gli altri 203mila come lavoratori autonomi.

Queste persone, impiegate in lavori saltuari, sono soprattutto donne occupate per la maggior parte nei servizi alla persona, come domestiche, baby-sitter, badanti, o al servizio di attività legate alla cura della persona come parrucchiere, estetiste, addette nei centri benessere, etc.

Un altro comparto dove si concentra un’incidenza molto elevata di occupati saltuari è quello alberghiero e della ristorazione e i servizi alle imprese, dove, rispetto al 2007, il numero complessivo dei lavoratori saltuari è aumentato del 20,3 per cento.

Gli over 65 sono i più numerosi: l’incidenza degli occupati con meno di 10 ore alla settimana sul totale dei lavoratori della stessa fascia demografica è pari al 6,9 per cento; seguono i giovani tra i 15 e i 24 anni (4,7 per cento).

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo, «questi dati evidenziano che la cosiddetta gig economy, sebbene in forte espansione, alimenta un'occupazione on demand ancora molto contenuta. Le opportunità offerte dai siti, dalle applicazioni e dalle piattaforme web, ad esempio, stanno riempendo le nostre strade di ciclo corrieri, ma i cosiddetti piccoli lavoretti sono ancora ad appannaggio di settori tradizionali, come i servizi alla persona, e in quelli dove è molto elevata la stagionalità. Ambiti, tra l’altro, dove la presenza degli stranieri è preponderante.»

L’area territoriale dove queste prestazioni occasionali sono più diffuse è il Centro: se a livello nazionale l’incidenza dei lavoratori saltuari sul totale degli occupati presenti in Italia è pari al 2,6 per cento, nel Centro la quota sale al 3 per cento. In termini assoluti, invece, è il Mezzogiorno che ne presenta il numero più elevato: degli 592 mila, 171 mila lavora al Sud, 148 mila sia al Centro sia a Nordovest e 125 mila a Nordest.

«Ovviamente – ha affermato il Segretario della CGIA Renato Mason – questi 592 mila lavoratori occasionali sono sottostimati. Sappiamo benissimo che questo settore presenta delle zone d’ombra molto estese, dove il sommerso la fa da padrone.
Tuttavia, è interessante notare che queste occupazioni regolari sono ad appannaggio soprattutto di donne e pensionati e servono ad arrotondare le magre entrate familiari, soprattutto al Sud.»